Non penso che G. Carducci
– “T’amo, o pio bove, e mite un sentimento / Di vigore e di pace al cuor m’infondi.” –
potesse anche solo sospettare la fonte di questo suo nobile sentimento ecumenico.
Un bue, o una vacca, è solo un bue, produce lavoro, filetto, latte se vacca, letame in passato, calore nelle vecchie stalle per contadini al freddo, e dunque?
Prima di pronunciarmi mi sono consultato a più riprese e a tempo perso (a volte serve perderlo) con diverse persone che hanno confermato il mio ricordo come identico al loro:
tutti ricordavamo che da un anno all’altro (per me tra i sette e gli otto), eravamo passati a invidiarlo/invidiarla
– non l’invidia malevola, per una volta –
per la disposizione a starsene lì, nel prato o nella stalla, senza segni di nervosismo o inquietudine ma con vigore, pace, mitezza:
insomma non si annoiavano, non avevano l’esperienza della noia mentre io sì, e ricordo di averlo anche verbalizzato:
poi ho esteso l’invidia a gatti, cani, cavalli.
La noia è la corruzione dell’esperienza del tempo:
una corruzione non iniziale:
sorvolo pateticamente sui filosofi a proposito del tempo.
La fonte di cui sopra è un sentimento di buona invidia:
li invidiavamo di non subire l’aggressione della noia.
Sul tono dello scherzo ma con la medesima serietà, mi è accaduto di conversare con un’amica su perché mai capiti di chiamare “vacca” una donna, remota com’è la bovina dall’eccitare e eccitarsi:
la vacca non è nervosa, non si annoia, è … facile:
annoto che, dopo le vacche bucoliche d’infanzia, ho conosciuto pochissime … vacche.
La donna mannara di cui ho fatto l’apologia non è nervosa, e non lo diventerebbe neppure se le dessi della … vacca:
anzi, sapendo come penso cioè amica del mio pensiero, troverebbe che sono gentile con lei come lei con me.
Ho così inventato un nuovo test, il Cow-test, ma temo che non riuscirò mai a farlo riconoscere alla Psicologia mondiale:
esso testa l’insorgenza del “superio” nella sua emergenza come noia, parente di angoscia e senso di colpa.
Almeno, abbiamo un’attenuante per lo stupido pregiudizio millenario (filosofico) della nostra animalità (“O animal grazioso e benigno”):
un pregiudizio antiscientifico, perché in esso confondiamo una materia (biologica) con una classificazione evolutiva della materia (qui l’animale), un errore millenario che persiste nella storia della Scienza.
Milano, 15 luglio 2009