Non adoro il Gatto d’oro, ma procediamo con ordine.
Nella mia vita ho sempre avuto gatti:
anche donne, ma uno dei miei pochi meriti è di non avere fatto confusione.
Negli ultimi trent’anni ho avuti due bastardoni neri, l’ultimo dei quali è vissuto quasi quanto Matusalemme, ventidue anni.
I nostri rapporti, ossia tra me e la natura rappresentata dal gatto, erano perfetti ossia non esistevano:
non intrattengo rapporti con la natura se non dopo averla trasformata in metanatura ossia dopo un’operazione metafisica che è un lavoro, di pensiero anzitutto:
tratto solo materie prime, trattabili perché anzitutto pensate (non sono occultista).
Rapporto non significa contatto, e solo allora vado pazzo per i contatti, contingenti e perfino effimeri (“effimero” è un aggettivo diffamato):
ma non voglio eccitare il senso pornografico del lettore.
I non-rapporti con il mio gatto sono così descrivibili:
1° per il più del tempo se ne infischia di me ossia comincia bene, 2° a intervalli regolari esige alimenti senza la violenza della pretesa (li concedo con soave paternalismo), 3° a volte implora carezze (che concedo con paternalistico affetto), e poi viene 4°.
Certe sere in cui seggo e leggo al mio tavolo, esso salta su e sta lì, “buono”, a lato del libro, senza disturbare e neppure miagolare:
che cosa sta facendo?, e faccio osservare che non gli sto attribuendo un pensiero:
un gatto non è scemo solo perché non ha senso attribuirgli pensiero.
Quando leggo, il mio pensiero vive nel modo migliore perché lascia pensare altri al suo posto senza annullarsi affatto, anzi (non è da dimostrare), l’io è lì:
la coscienza, quando non è ossessiva persecutoria assillante infame, prende nota che meglio di così non potrebbe andare e se ne sta buona, proprio come il mio gatto, che assumo come suo rappresentante.
É ovvio che non sono idolatra:
non adoro il Gatto d’oro, la plurimillenaria “coscienza”.
Freud, come Mosè diversamente da Mosè, ha riportato
– con quell’intenzione di pensiero che ha chiamato “inconscio” solo per strapparlo alle unghie della “coscienza” -,
il Gatto d’oro della coscienza a una onesta esistenza, contro la sua idolatrica adorazione:
perlomeno il Vitello d’oro della Bibbia valeva oro, mentre il Gatto d’oro della coscienza vale solo come sedativo per i poveri.
A proposito di donne:
non voglio la Donna come “voce della coscienza”:
se una donna mi assassinasse perché l’ho voluta tale, meriterebbe almeno le attenuanti generiche.
Milano, 06 luglio 2009