SPARARE C…TE: ANNOTARE

Suggerisco di non affrettarsi a imputarmi di volgarità, come pure di evitarvi quel certo sorrisino che la dice lunga se diagnosticato.

Sembrerebbe trattarsi della nota volgarità italiana, una lingua che della volgarità ha un singolare genio:
quello di veicolare, senza saperlo, la completa dottrina del “fallo” distinto dall’organo:
questa dottrina è compendiata nella nota ingiuria “testa di …”, in cui nessuno si accorge di nulla.

Per aiutare, rammento che la si dice correntemente anche di una donna:
il “fallo” o “c…” è asessuale, esclude la differenza sessuale.

Si usi il metodo semplice carta-e-matita, annotare, facile eppure generalmente rifiutato anche da molti analizzati:
benché esso sia consueto nella psicoanalisi
– parola che ormai riservo soltanto per divano-poltrona, per il resto c’è soltanto pensiero di natura, di cui la psicoanalisi è un’applicazione, la sola –
rifiuto di considerarlo specifico di essa:
basta il buon senso per sapere che per sapere ciò che dico, il meglio è scriverlo (c’è anche l’annotazione mentale).

Scritta l’espressione, ci si accorge che in essa precede il verbo “sparare” che, onomatopea a parte (bang!), significa ferire.

Iniziamo a sospettare che “c…te” denota proiettili, e non li designa soltanto:
ricordo un vecchio libro intitolato “Parole come armi”, e basta avere raggiunto i cinque anni di vita per averne l’esperienza, con effetti debilitanti a vita:
anzitutto se ci sono state sparate proprio quelle.

Lo pseudo-colto “fallo” è onestamente smascherato dal volgare “c…”, proprio nell’ascesa di quello al cielo perverso della sublimazione:
sottrazione dell’onesto organo alla terra – attenzione! – non del piacere ma del principio di piacere, inesistente in natura, metafisico.

Il fallimento dei discorsi “alti” si rivela come fall-imento, c…te spirituali:
tutte le morali le hanno sparate, sono dunque in difetto di moralità.

Neppure provo a calcolare le dimensioni che avrebbe una Biblioteca delle millenarie fall-ate spirituali, non plebee, colma di autorevoli firme al di sopra di ogni sospetto, giusta l’annotazione lacaniana:
“Il fallo è l’obiezione di coscienza al servizio da rendere all’altro”:
una coscienza del …, la “coscienza morale” dei millenni.

Milano, 18 giugno 2009

 

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