NON HO AMICI PSICOANALISTI

Ho formato numerosi psicoanalisti (analisi, supervisione), ma non ho mai spinto nessuno a diventarlo:
nella vita ho commesso errori, non questo.

Mi è solo capitato di incoraggiare qualcuno che, dopo avere già iniziato come avevo fatto io, rischiava di perdersi d’animo:
questa è la migliore tentazione per chi ha saputo iniziare, la tentazione del buon entusiasmo (senza drammatismo “entusiastico”):
se uno psicoanalista non ne è entusiasta, non è uno psicoanalista.

L’analista lo è per ambizione, forma, non per formazione:
la “formazione” odierna è nemica della forma:
ma concedo che anche la fogna ha forma (architettonico-matematica).

Più volte, qualcuno mi ha detto che non si sentiva di diventare psicoanalista:
ho risposto che faceva benissimo ad astenersi;
ho dato la stessa risposta a qualcuno che se la “sentiva”:
ambedue non mi sono stati … amici.

Non ho mai avuto amici, o peggio, tra gli psicoanalisti, neppure se formati da me:
so già che questa frase sarà strumentalizzata, prendendola per l’equivoco cui sembra prestarsi e non per la costatazione che compie (che estendo su più di un secolo).

Gli psicoanalisti non possono essere amici in quanto tali, ma solo se lo sono di ciò di cui la psicoanalisi è amica:
il pensiero:
Freud mi è amico perché lo è del pensiero (caso unico nella storia del … pensiero).

Diversamente, quella “psicoanalisi” che nasceva come nome dell’univocità
– è curioso il fatto che nessun lacaniano me lo riconoscerebbe, eppure lo ha scritto proprio J. Lacan -,
è diventata una giustificazione dell’equivocità.

Freud non ha affatto scoperto l’inconscio
– ecco l’errore di un noto libro, Henri F. Ellenberger, “La scoperta dell’inconscio”, il cui titolo segnala l’errore di un secolo di psicoanalisi -:
ha scoperto il pensiero, con devozione vocazionale per esso,
e solo in subordine quel pensiero che resta residualmente valido e moderatamente efficace, cioè sano, nella patologia, che ha denominato “inconscio”.

Risulta da ciò che dico un duplice rovesciamento anzi raddrizzamento:
posto il primato dell’amicizia del e per il pensiero, Freud viene a collocarsi in subordine al pensiero di cui è amico, e la psicoanalisi in subordine a esso come sua applicazione a certe cure.

Nei decenni ho fondato ben tre Società psicoanalitiche (o Associazioni), e insieme conosco bene la Storia poco più che secolare delle Società psicoanalitiche,
ma solo tardi ho saputo concludere che non può esserci una Società psicoanalitica:
bensì soltanto una Società di Amici del pensiero, inclusiva di psicoanalisti in quanto applicatori del pensiero amico.

Una tale Società è anche amica di Freud, psicoanalisi, psicoanalisti.

La Società ha bisogno di una Società di Amici del pensiero:
questa non è una Società di utopisti, ma piuttosto di operai del pensiero, produttori:
che come tali non sono degli uguali più uguali di altri.

(En passant:
analista-cliente sono due uguali asimmetrici, mentre medico-paziente sono due disuguali:
gli amanti, se lo sono, sono due uguali asimmetrici che invertono ogni momento il senso dell’asimmetria, senza il delirio doloso dell’“invidia del pene”.)

Ma è la stessa parola “amicizia” a non avere senso, se non designa l’amicizia per il pensiero, ossia la realtà (res) che conferisce realmente senso all’umanità in quanto socî, partner di affari.

Milano, 10 giugno 2009

 

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