Si rilegga l’articolo di ieri, nella sua articolazione formalmente proposta da Freud:
libertà-felicità-incesto.
Essa è ormai integrata nel mio pensiero, non come pensiero privato ma come pensiero nella sua orto-dossia (salvo contestazione), nella sua rett-itudine o sua Recht-itudine, non naturale né geometrica.
Nel sostenerla non cito più Freud, intendo appunto il verbo sostenere:
la sostengo io:
con riconoscenza pubblica per Freud:
grazie all’amicizia di Freud per il pensiero che ha fatto sì che io stesso potessi pensarla.
Freud si è logicamente sub-ordinato al pensiero di cui è stato amico:
si tratta del nesso amore-logica (ignorato dalla storia della logica).
Qualificare quella terna come “freudiana” tradisce-abbandona Freud in una fideistica fedeltà, proprio come fa l’espressione sempre ricorrente “lapsus freudiano” (ne ho scritto tempo fa):
non c’è lapsus “freudiano”, c’è lapsus univocamente grazie al lavoro di Freud (idem per il sogno eccetera):
una tale espressione uccide il pensiero di Freud proprio mentre sembra rendergli omaggio, perché lascia a un mistico “lui” ciò che è “lapsus”, massimo dell’equivocità e infedeltà, anziché riconoscere a lui di avere conosciuto univocamente che cosa significa “lapsus”.
Ciò che dico ha rilievo personale (per tutti, non solo per me):
da tanti anni dico e scrivo frasi, ma non riconosco amicizia in chi le cita tra virgolette facendo seguire il mio nome, magari qualificandomi intelligente o interessante:
da tempo produco vino, e preferisco il bevitore che lo giudica imbevibile, ma da bevitore.
Le “ … ” sono indifferenti o ostili al pensiero, ossia a ciò che fa l’uomo.
Proprio sabato mattina u.s., concludendo il Corso annuale dello Studium Cartello, ho parlato della appena fondata “Società Amici del pensiero” ufficialmente intitolata a Sigmund Freud perché il suo pensiero è subordinato al pensiero amico, primo caso nella storia di amicizia per il pensiero.
Avere subordinato Freud, e la psicoanalisi, alla recht-itudine del pensiero, alla sua ortodossia, alla san(t)a sede di esso, è la perla della mia vita, che non voglio tradire.
Ma non presumo di me:
se mi capitasse di farlo (chissà, benché dopo tanti anni!, in una specie di Alzheimer psichico), non me la prenderei più di tanto:
diventerei solo uno dei tanti, banali:
sul campo si può sempre cadere, e senza fare troppi drammi (isterici, come tutti i drammi).
Milano, 29 giugno 2009