Un investigatore informato che la vittima, prima dell’omicidio, aveva in agenda una visita oppure un appuntamento, inizierebbe orientandosi verso un medico oppure un(’)amante;
più ancora, chi senta qualcuno dire che sta per acquistare un lettino oppure un divano, penserebbe che vuole arredare la stanza dei bambini oppure il soggiorno.
Dalla supervisione apprendo che una paziente in analisi dichiara che deve assentarsi dalla “visita” successiva:
volesse il cielo che fosse un lapsus:
faccio osservare alla persona in supervisione che in questa parola si condensa tutta la già nota resistenza all’analisi di tale paziente:
essa vi si reca come dal medico, sistematizzando e selezionando i contenuti, non avendo mai accettato che in analisi si tratta di veri appuntamenti, in cui ognuno mette la propria iniziativa non precedentemente calcolata, non la propria parte precalcolata.
Ha dello sbalorditivo il fatto che in Italia la maggior parte degli psicoterapeuti, ma anche molti psicoanalisti, dicono “lettino” e non “divano”, ossia un’allucinazione verbale:
la distanza tra lettino e divano è molto maggiore di quella tra asino e cavallo – “cavoli a merenda” -, con rispetto per gli asini e i crauti.
Non sono il solo a ricordare ancora oggi la furia biliosa con cui uno psicoanalista italiano in un Convegno, avendo io fatto osservare questa ovvietà, mi ha replicato che non accettava “lezioni” da me, come se io perdessi tempo a insegnare la popolare e antica distinzione tra asini e cavalli:
rincaro, è sbalorditivo che uno psicoanalista, un curatore di parole che poi sono frasi, confonda il divano con il lettino (se la confusione superasse un certo limite, all’allucinazione si accompagnerebbe il delirio clinico).
Era per cose simili che un tale imputava di “dura cervice” e “durezza di cuore” (cuore = cervice).
“Mi fa senso”, come si dice, l’insensatezza di una persona che conosco da più di quarant’anni, che poi ha fatto una certa carriera (ecclesiastica), la quale in decenni non ha fatto nessuna nuova mossa linguistica, foss’anche una semplice acquisizione lessicale, o quella di un nuovo giro di frase:
la prendo come esempio dell’incurabilità, per negazione della curabilità.
Più che di un accostamento, si tratta della medesima dura cervice del linguaggio che si osserva nell’immobilità del linguaggio politico (per esempio in queste Elezioni europee):
non vi si trova un solo apporto di pensiero.
Sarà anche vero che i ghiacci eterni si vanno sciogliendo, ma si vanno eternizzando i ghiacci già troppo longevi del linguaggio.
“Ghiacci” è metafora:
significa provincia, che un giorno forse rappresenterà il globo
– è già stato detto “villaggio globale”, Signore perdonali perché non sanno quello che dicono -,
o gruppo.
Milano, 11 giugno 2009