FREUD, J. LACAN, E “PORTATE GLI UNI I PESI …

… degli altri”.

Oggi, dopo una settimana, riprendo da qui.

Sto ancora facendo del giornalismo, e da prima pagina.

Molti conoscono questa frase (Galati 6, 2) che, nell’intenzione del parlante, designerebbe l’amore, l’amore come legge e “nuova”:
non quella di prima, non l’amore di prima, quello di cui non se ne può più da millenni, il cui nome è “fallimento” (notoriamente).

Mi sono accorto del suo significato e senso improvvisamente, sul filo del discorso che stavo tenendo in un seminario (all’Università di Urbino, sabato 9 maggio), dedicato alle solite parolacce cacofoniche di noi psicoanalisti, in questo caso “transfert”:
mentre invece Freud intendeva parlare di un “fatto nuovo” (neue Tatsache), l’amore, e nuovo proprio rispetto al millenario e fallimentare discorso sull’amore, nuovo per mezzo di un trasporto o trasloco (Übertragung) , non solo da uno a un altro, ma da un campo a un altro campo.

L’esegesi corrente (predicatoria) di quella frase è penosa e ridicola insieme:
essa dice che se uno porta un peso di cento chili, si farà avanti un imbecille (come un Cireneo, ma non obbligato come è stato quest’ultimo) che prenderà su di sé i cento chili per “amore”:
ma questa è solo una sciocchezza sull’amore.

(Informazione: nel trasporto psicoanalitico, decade il peso).

Questa esegesi è degna di nota proprio e solo per la sua formale demenza (anche la demenza ha formalità):
essa dice che non è cambiato nulla, che il peso resta, che cambia solo la spalla che lo porta, cioè appunto che non è cambiato nulla:
nel migliore dei casi, quello in cui tutti fossero animati dall’“amore”, si farebbero i turni, così che lo stramazzamento universale risulterebbe ritardato, l’entropia totale si realizzerebbe lentamente:
con melanconico sghignazzo e lacrimatoio universale.

Vista così, è tutto idiota:
e gli umani si distinguerebbero tra sciocchi e furbi, una coppia narrata dai Grimm e già teorizzata da Platone (in particolare nel “Simposio”), ma che non ha bisogno di riferimenti colti per essere generalmente nota:
va osservato che i furbi sono tali non perché sono su un’altra barca rispetto all’idiozia strutturale, ma solo perché hanno capito il funzionamento idiota ma restandogli interni e sottomessi, hanno solo imparato a “saperci fare”, a “marciarci”, a vivere, teorizzandolo, di espedienti.

“Espediente” (Pòros) è infatti il nome del marito della Miseria (Penìa) , vivente di mancanza, dalla cui coppia nascerebbe secondo Platone l’amore (Eros).

Siamo ancora qui, e duemilacinquecento anni non hanno cambiato assolutamente nulla, in tutte le epoche, morali, religioni, estetiche, filosofie:
Platone, neppure lui con tutti i suoi espedienti Ideali, non è mai uscito dalla caverna.

Lacan neppure (ne ho appena parlato, sabato scorso 16 maggio allo Studium Cartello), pur avendomi insegnato tutto, o quasi, sulla caverna, sulla Teoria della mancanza, sulla sordidità degli espedienti in particolare platonici (l’Idea, anzitutto del Bene e del Bello), e pur avendomi accompagnato, come analista, nella loro ricognizione senza suscitarmi resistenze al loro riconoscimento.

Ha potuto essere mio analista perché della norma psicoanalitica (non omissione e non sistematizzazione) si fidava e a essa si affidava, modesto, e per questo intelligente, nell’immodestia:
di questa norma io ho fatto poi il principio di una Filosofia già preparata da Freud, avente la psicoanalisi come sua applicazione.

Sull’amore, fin dal II Secolo il Cristianesimo è stato greco-platonico e non cristiano (due amori, eros e agàpe, equi-vocità sull’amore, divisione del soggetto).

Freud invece ha reimpostato il secondo corno dell’alternativa, senza bisogno di essere Gesu-ita.

Invece J. Lacan è rimasto malgrado tutto platonico, poi kierkegaardiano, benché obtorto collo costantemente:
la sua esigenza iniziale di un momento di concludere (“moment de conclure”) gli è rimasta preclusa, proprio nel solo punto in cui non è stato freudiano:
l’io, ne ho appena parlato e lo riprenderò.

Egli non doveva distinguere, anzi separare, soggetto/io-imputabilità, soggetto/io-titolarità dell’atto, soggetto/io-diritto (con distinzione tra due Diritti),
ossia  “L’io e l’es” freudiano”, negletto da J. Lacan mio venerato maestro e analista:
caduto sul campo del disonore platonico, poi kierkegaardiano.

Milano, 18 maggio 2009

 

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