CONDANNATI ALL’INTELLETTUALISMO, OVVERO SAN FRANCO FRANCHI

Per intendere ciò che dico, poniamoci sotto l’alto patronato di San Franco Franchi (1928-92), quell’autentica bestia umana di tanti insopportabili film (ricordate “Ultimo tango a Zagarol”?).

Diversi anni fa, poco prima della sua morte, ho assistito a una sua intervista in Televisione:
colto, intelligente, simpatico, divertito e divertente, impeccabile anche nell’eleganza del vestire e dei modi, niente affatto “bestia”, ha tenuto un’arguta e non pedante lezione anche storica sul genere di teatro o teatraccio popolare, o avanspettacolo, che impersonava:
mi ha anche ricordato il triviale personaggio popolare “Padella” della mia infanzia, bestialità così grosse da mettermi sul chi-va-là.

Franco Franchi spiegava che la “bestia umana” esiste solo come prodotto dell’intelletto:
in quell’intervista mi è stato maestro.

In queste pagine l’ho già detto a proposito del cappello d’asino sulla testa dello studente del passato:
bisognava proprio essere … asini d’intelletto per mettergli il cappello d’asino.

Fin da bambino sono stato educato in una Cultura che condannava l’intellettualismo:
almeno a partire da quell’epoca lontana secoli in cui si condannava la curiositas:
ma, sotto nuove e secolari spoglie, oggi non è cambiato nulla, si crede ancora secondo il fideismo della bestia umana sia pure per sublimarla (“o animal grazioso e benigno”), che è il fideismo di base.

Poi (salto ogni passaggio autobiografico e a un tempo storiografico), Freud ha mutato il mio intelletto, facendomi scoprire che nessuno è fuori dall’intellettualismo, per il meglio o il peggio, per l’intelligenza o la stupidità, per la salute o la patologia, per la salvezza o la condanna.

É bastato riconoscere, come già lui, che c’è una curiosità (osservativa e logica) infantile, come pure autentiche Teoria infantili (sessuali, ma non è ciò che importa in primo luogo):
riconoscere l’intelletto infantile significa riconoscere che l’intelletto inizia prima della distinzione bambino/adulto, e rimane il medesimo dopo salvo riedizione (dal principio di piacere al principio di realtà come principî intellettuali ambedue).

É poi bastato continuare a riconoscere nella rimozione un atto intellettuale (Rossella o’ Hara: “Ci penserò domani”), come lo è il rinnegamento o sconfessione (perversione).

La serie prosegue riguardo a ignoranza, volgarità, banalizzazione, debilità, tutte le “bestialità” comprese le perversioni più sordide e “bestiali”.

Abbiamo sempre a che fare con prodotti di forme dell’intelletto (non tutte raccomandabili), sempre attivo:
senza intellettualismo noi umani non possiamo neppure permetterci di essere degli stupidi, o dei dementi:
o degli anti-intellettuali.

Siamo ancora culturalmente così stupidi da rifiutare di annotare – mi ripeto – che il principio di piacere è intellettuale (J. Piaget, intellettuale, al riguardo non era molto intelligente).

Ciò che io ho fatto è consistito nell’annotare la “pulsione” come pensiero.

Il pensiero è un organo vivente, o un apparato, o meglio un dispositivo, con una vita attiva e autonoma in ogni caso:
pace o soddisfazione-conclusione, e angoscia-inconcludenza, ne sono gli affetti, affetti di pensiero.

Mi astengo dal trattare ora di Platone (mito della caverna), Locke (“Saggio sull’intelletto umano”), Spinoza (“Tractatus de intellectus emendatione”), per finire sull’intelletto secondo l’Università, moderna e non.

Condannati come siamo all’intellettualismo anche nel peggio, e nel peggio per l’intelletto stesso, il riconoscerlo aiuta a passare alla felix culpa ossia a una via di salvezza, intellettuale che altro?:
il corpo segue, segue chi lo segue.

Milano, 04 maggio 2009

 

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