LE PAROLE ADDOSSO

Dalle parole addosso siamo quasi senza difesa, da grandi come da piccini:
da grandi perché già da piccini (ecco Freud).

Questa verità dovrebbe bastare a insegnare la modestia alla sciocca superbia dell’incoscienza della “coscienza” adulta:
che poi farà da cinghia di trasmissione o sistematizzazione dell’infantilizzazione subìta (patogenesi).

Sto per la coscienza, ma non c’è coscienza che al futuro anteriore:
giorno per giorno essa non è bensì sarà-stata, in quanto quella che prende il coscienzioso e perfino rigoroso “inconscio” come suo permanente compagno,  correzione gratuita per rinfrescarsi quotidianamente la memoria:
dunque contiamo sull’“inconscio” che non calcola.

Le parole addosso sono più gravi delle mani addosso
– non deplorevoli quando gradite, ma percezione non significa oggetto – :
la tolleranza dovrebbe sostentarsi dell’intolleranza per le parole addosso, quelle che ci fanno oggetto:
le parole addosso sono l’intolleranza dell’amore mentito, la fonte di tutti i mali.

Ci sono anche gli occhi addosso, di cui ho già detto:
sono il malocchio di “occhi negli occhi”, del “rapporto” come “a-tu-per-tu”, il cui venefico campo attraversa i secoli:
rammento ciò che ho scritto del primo bacio come amore:
l’amore non ha oggetto, un oggetto cui appunto parlare o guardare addosso.

Sono stato biasimato perché a volte riattacco con “Dio” (sto per farlo ancora), parola insensata nel suo inservibile e frivolo essere di troppo
– heideggerianamente: Essere-di-troppo -,
come ingrediente millenario di tanti insulsi o cattivi condimenti.

Segnalo quell’ingiuria, bestemmia in forma di autentica eresia canonica, che consiste nell’attribuire a “Dio” come Ente l’istinto dell’amore, l’innamoramento per l’umanità (in ciò l’Islam è più moderato, si accontenta della misericordia):
la “sua volontà” è un parlare addosso:
“Lui”, che esista o no, in ogni caso non lo fa:
ma se ne approfittano tutti coloro che ci parlano addosso per amore:
Gott mit uns” non è soltanto quel miserabile motto nazista.

Lo psicoanalista
– uno che parla,  non che non-parla -,
non mette le parole addosso, semplicemente perché non ha né vuole avere un oggetto su cui metterle:
serve a concludere (frasi), cioè a cominciare per una meta pensabile non al futuro (illusione) ma al futuro anteriore.

I Filosofi hanno sempre sbagliato, si sono persi nel divenire omettendo l’accadere:
il verbo “essere” ha senso solo al futuro anteriore:
il che lo rende comprensibile per tutti, anche e in subordine per i Filosofi di professione.

Milano, 17 aprile 2009

 

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