con quel che segue.
Questa frase è una delle massime cattiverie e tradimenti, non solo nel suo contenuto, ma nel suo proporsi come razionalità:
è totalizzante, e conosco casi di obbedienza assoluta ad essa.
L’interruzione di questa obbedienza è debitrice di ciò che, bene o male, è stato chiamato “inconscio”:
cioè un pensiero anteriore che benché censurato non è morto,
e che non perché anteriore è più vecchio, bensì è primario:
è in quanto primario che era già disponibile alla via nuova.
Anni fa ho più volte usato un’espressione che lo dice bene per i bambini, in quanto quelli che senza umiliazione sanno “bussare a tutti gli sportelli”:
il primo esempio che ne adduco è quello del bambino che chiama “papà” il genitore del suo amico d’infanzia, lo zio, l’amico di famiglia che passa di lì:
e non si tratta di lapsus.
La via vecchia, oppure nuova, è anzitutto quella delle frasi:
i nostri impuntamenti e fissazioni nelle frasi e nelle parole(-frasi) a volte hanno perfino dell’incredibile:
conosco persone che da quarant’anni non hanno apportato ad esse neppure la minima variazione, anche solo lessicale:
per avere l’idea di tempo fermo non abbiamo dunque bisogno di fare chissà che speculazioni.
Nulla a che vedere con la linguistica, salvo promuovere come disciplina una linguistica patologica, riguardante la principale e più efficace delle nostre azioni o fatti:
per esempio, quanti secoli di psicoanalisi ci vogliono perché uno la faccia finita con la frase “Fatti non parole!”?:
sarebbe una via nuova, e guarigione.
A tutti i livelli (politico, letterario, filosofico, giornalistico eccetera) ci sono oggi segni avanzati di una generale glaciazione linguistica, eternità anticipata come Era glaciale.
Milano, 30 aprile 2009