Nel 1969 ho iniziato come Avvocato della salute (denominazione che ha una decina d’anni) duplicemente:
come psicoanalista, che è un Avvocato della salute, con la mia prima paziente sul divano Donata (nome vero, lei apprezzerebbe),
e con Turturro, di cui sono stato Avvocato della salute nel senso che da anni io e colleghi diamo a questa nuova professione come l’altra faccia dello psicoanalista:
oggi parlo del secondo.
Ancora oggi ricordo con simpatia Turturro (di cui conservo il dossier, ricordo la copertina blu), e anche me medesimo in quell’occasione.
Quell’anno ero diventato Psicologo dello CSOP (Centro Scolastico di Orientamento Professionale) di Seregno, un onnifacente con la sapienza dell’insipienza quando non ha l’insipienza della presunzione, che abolisce ogni sapienza.
Una Preside venne a parlarmi del cruccio che per lei e insegnanti era questo tredicenne di terza media:
a muso duro e inespressivo consegnava tutti i compiti in bianco, e faceva “scena muta” in tutte le interrogazioni:
il sospetto diagnostico era di autismo, psicosi, forse schizofrenia.
Mandato da me, non ricordo come io mi sono presentato, che cosa ho detto o forse non detto, cioè il mio merito:
sta di fatto che dopo un istante mi sono trovato di fronte un giovane estroverso, simpatico, che senza farsi pregare-interrogare mi ha subito raccontato la sua vicenda:
gli ero andato, come si dice, “a genio” (non credo nel genio).
In breve, mi ha confidato che quel suo comportamento obbediva a un preciso e deciso rapporto mezzi/fini, secondo il suo interesse perfino intessuto su una analisi di classe.
Il padre operaio desiderava che studiasse per fare strada nella vita, non come lui operaio, fino al diploma e forse l’università:
ma lui, per un verso non si faceva illusioni stanti le sue origini di classe,
per l’altro verso già sapeva ciò che voleva, diventare un buon meccanico, aiutato in questo da un certo meccanico lì vicino, che gli affidava piccoli lavori compensandoli.
Mi ha anche illustrato le sue doti meccanico-idrauliche, un ingegnoso sistema di vaschette comunicanti per pesci di sua costruzione.
Aveva dunque deciso che il quanto peggio (scolastico) sarebbe stato per il tanto meglio, lo avrebbero “mandato a lavorare”.
Mi ci è voluto poco, a favorirne gli intenti, per convincere preside e genitori raccontandogli una mezza verità (tutta no).
Ho poi saputo che l’intento era riuscito.
Non è la stessa cosa per l’Avvocato-analista, quanto al guadagno secondario della malattia nel compromesso nevrotico:
ma in questo come in quello di Turturro, si tratta di dare ragione all’io compromettente.
Quanti anni mi ci sono voluti per dare ragione a Freud sull’io compromettente!, senza più tante “monferrine” sulla distinzione tra io e soggetto.
L’io si distingue, sì, ma perché serve Chi!, quello che gode nell’usufrutto, disponibile a ogni va-e-vieni tra passivo e attivo, “femminile” insomma.
Milano, 21 aprile 2009