REGINA COGITATIONIS

Non sono tanto blasfemo (verso le donne) da parlare di pensiero “femminile”, meno ancora “materno”:
le bestemmie sono “femminilità” e “maternità”, mentre io parlo del pensiero di una donna, che con esse non ha nulla a che vedere:
anche se nessuno ci ha capito nulla, rammento la mia apologia di donna mannara.

Nella giornata della donna (8 marzo) non voglio mancare la Madonna, spero a vantaggio delle donne non solo:
non sole almeno in pectore (“a cosa serve un uomo?”, ripeto).

A suo riguardo noi cristiani ci siamo presi una bella responsabilità, estrema, perché ne abbiamo fatto (storia o mito, ora non importa) l’anello da cui per un momento dipende tutto:
intendo l’anello del suo pensiero.

La questione è:
come ha fatto a capire?:
capire che cosa?, meglio ancora riconoscere, che quel Signore che si rivolgeva a lei per interposto Arcangelo era il Dio di Abramo Isacco Giacobbe, o dei suoi padri:
questo non può essere un articolo di fede, meno ancora se fondato sulla buona fede della donna, e non perché questa vada messa in dubbio.

Osserviamo ancora, sempre nei testi, che la Madonna ha dato per scontato che detto-fatto, ossia non ha avuto bisogno di aspettare la verifica empirica:
leggiamo inoltre che l’Altissimo non l’ha messa di fronte al fatto compiuto, della serie prendere-o-lasciare, nella presupposizione che sarebbe stato un “prendere” perché era una brava ragazza;
né che ha fatto qualcosa di simile alla Marchesa di O… di H. von Kleist;
né che ha agito come quel mitico divino Cialtrone antico che veniva in terra a dragare femmine.

Quale atto intellettuale le attribuiscono i sacri testi?, almeno con cenni che ci permettano di ricostruire logicamente noi un tale atto?:
insomma, sarebbe sufficiente esperire un costrutto che tenga (io avrei un’idea).

In un simile non ovvio atto, i testi la danno implicitamente per regina cogitationis, senza di che non sta più in piedi niente (diversi anni fa aggiungevo questa alle Litanie lauretane).

Del resto, il Signore che cosa poteva farsene della scema del villaggio?:
doveva essere almeno una Giuditta, una Ester, una Regina di Saba, per non dire delle donne patriarcali, ma una brava ragazza no.

Segnalo da quell’efferato cattolico che sono – non meno efferato che psicoanalista – che sto riproponendo il dogma dell’Immacolata (Pio IX, 8 dicembre 1854):
sine labe intellectuali concepta
(la tara, labes, inizia nel pensiero: notabene, non dal pensiero).

A fronte di ciò ci scontriamo con la ricorrente ripugnanza ossessiva, in era cristiana, per la concezione intellettuale dell’amore, cui viene contrapposto il quasi-dogma (ma perlomeno mai dogma) dell’amore come innamoramento, fuori-di-testa, in terra come in cielo:
filtro d’amore in cielo e in terra.

Lo ho commentato a proposito di Riccardo di San Vittore, in:
Il primo errore: il violento amore I, 22-23 novembre 2008, e II, 24 novembre 2008.

Brrr!:
se così fosse, da un simile Dio pazzo d’amore preferirei tenermi alla larga.

Il pensiero dell’amore rimane l’impotenza dell’antichità e della modernità, del “mondo” e della storia del cristianesimo:
che in ciò è sempre stato allo sbando, e per coprirsi si è buttato sulla “fede”, con l’immancabile sorellastra detta “ragione”.

Questo bilancio plurimillenario non mi rende melanconico, e non lo trovo neppure triste:
amo il lavoro, non mi stanca:
poco o tanto che io valga come amante, il lavoro fa l’amore, nell’azione come nella passione.

Milano, 11 marzo 2009

 

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