LA SETE D’INFINITO

Nessuno ha mai capito che cosa significa “sete d’infinito”:
eppure è chiaro, dozzinalmente, collettivamente, culturalmente, internazionalmente, globalmente, cosmicamente, comicamente, e commercialmente.

É la pornografia, cioè:
ancora!, ancora!, e ancora!, aldilà aldilà!

Non voglio fare della pornolalia:
ma non per evitare l’accusa di turpiloquio, bensì perché l’aldilà invocato dalla pornografia, o meglio dal suo utente, è ineffabile (non fabile né affabile) proprio come la divinità.

Siamo sempre nella somma pornoscopia, quella del Sommo Bene o un gradino sotto:
visione mistica della donna divina, o anche solo angelicata.

Potremo mai guarire?, specialmente dopo che questa forma di pensiero è stata promossa in “Cielo”?:
c’è da disperare (è la disperazione di me psicoanalista).

Non ho affatto fatto lo spiritoso:
basta esaminare i testi “sacri” (tanti, Goethe compreso).

E’ fantasma maschile, le donne non ci credono (lo diceva già Leopardi):
ma all’occorrenza glielo rivendono:
il loro fantasma, non il proprio corpo, ma gli uomini non lo capiscono.

Ciò avviene dapprima a prezzi ancora contenuti:
ma poi impagabili, con l’apparenza spirituale di essere usciti dal mercato:
e allora non c’è pietà per nessuno, a partire dai figli (risarcimenti).

Ripeto la mia domanda:
a che serve un uomo?

Milano, 25 marzo 2009

 

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