e Commento
Dopo il suicidio-eutanasia di Socrate proposto da un Platone imbroglione e avvelenatore (La farmacia di Platone, J. Derrida), vengo al principale documento e cronaca sulla morte di Freud, quello di Max Schur, amico, medico, psicoanalista, biografo:
M. Schur, Freud in vita e in morte (1972), Bollati Boringhieri, Torino 1976 e 2006, pp. 498-499.
Freud moriva a poco più di 83 anni (6 maggio 1856 – 23 settembre 1939), di un cancro in bocca diagnosticato nel 1923, a partire da una leucoplachia sul lato destro della mascella e del palato.
Alla preparazione della sua morte non si applicano parole come eroismo, stoicismo, rassegnazione.
“Poi cominciò a diventare sempre più arduo alimentarlo. La sua sofferenza si fece più grave e le notti divennero penose. Poteva lasciare a malapena il letto e a poco a poco cadeva in condizioni di cachessia. Anna e io ci davamo il turno nel fargli le applicazioni di ortoformio, che ormai non avevano più nessun vero effetto sedativo. Per me era un tormento non poter alleviare il suo dolore, ma sapevo che dovevo aspettare finché non me l’avesse chiesto.
La fase finale cominciò quando gli diventò difficile leggere. Freud non leggeva a caso, sceglieva i libri con molta cura. L’ultimo libro che lesse fu Pelle di zigrino di Balzac.
[qui ometto con dispiacere una pagina molto buona, ndr.]
Ma Freud aveva compiuta tutta l’opera di ‘bonifica’ [‘la bonifica dello Zuidersee’, espressione di Freud, ndr] che gli era stata possibile. E, diversamente da Raphael [protagonista del romanzo di Balzac, ndr], aveva vinto tutte le sue paure, almeno nella misura delle possibilità umane.
Il 21 settembre, mentre sedevo al suo capezzale, Freud mi toccò la mano e mi disse [ometto la frase in tedesco, e così più avanti, ndr]: ‘Caro Schur, Lei si ricorda certo del nostro primo colloquio. Allora mi promise che non mi sarebbe venuto meno quando fosse stato il momento. Ormai è solo tormento e non ha più senso.’
Gli feci cenno che non avevo dimenticato la mia promessa. Egli mi guardò sollevato, mi trattenne la mano per un istante e disse: ‘La ringrazio’; poi, dopo un momento di esitazione, aggiunse: ‘Lo dica ad Anna’. Tutto questo fu detto senza traccia di commozione o di autocommiserazione e con piena coscienza della realtà.
Come Freud aveva chiesto, informai Anna di quanto mi aveva detto. Allorché ricadde negli spasimi dell’agonia gli iniettai due centigrammi di morfina. Ne fu immediatamente sollevato e cadde in un sonno tranquillo. L’espressione di dolore e di sofferenza era scomparsa. Ripetei l’iniezione dopo circa dodici ore. Freud era chiaramente prossimo alla fine delle sue risorse: cadde in coma e non si risvegliò più. Morì alle tre di notte del 23 settembre 1939.
Nel 1915, in Considerazioni attuali sulla guerra e la morte, aveva scritto:
‘Di fronte a un morto assumiamo un atteggiamento del tutto particolare, manifestandogli quasi una sorta di ammirazione, come se avesse compiuto qualche cosa di assai difficile’. ”
Schur, d’accordo con Freud, ha soltanto sedato le ultime sofferenze della sua agonia, e lo ha fatto addormentare, nient’altro, né suicidio né eutanasia.
Prima del Commento, collego con questo documento-cronaca quello della morte recente del mio primo Amico, Carlo Doveri:
egli, in procinto di iniziare come psicoanalista, è morto così:
prima dell’agonia aveva domandato che gli fosse risparmiata la morte per soffocamento, ottenendo (a fatica) dai medici di morire sedato e addormentato:
negli ultimi cinque giorni il figlio di otto anni ha potuto vederlo come un dormiente sereno che russa, e perfino scherzare con lui, pur sapendo tutto ma preferendo al momento l’illusione.
Nulla del suicidio-eutanasia, solo una certa spesa (soldi) in oppiacei.
Commento
Non ho difficoltà a prestare a Freud le parole di Simeone:
“Ora lascia che parta il tuo servo, o Signore, verso la pace che tu gli hai promesso”,
e senza privarlo della miscredenza che aveva e cui teneva (nella mia miscredenza tecnica, o laica, ho imparato da lui).
Sto rendendo un servizio ad alcuni tra i miei lettori cattolici, perché offro loro un’occasione per onorare il sacramento della confessione:
andando a confessare il loro peccato di diffamazione (l’attribuzione a Freud di suicidio-eutanasia):
suppongo che il confessore strabuzzerà gli occhi, salutarmente, ma forse andrà sedato.
Allo stesso tempo sto difendendo questo sacramento, arrivato oggi al suo minimo storico:
infatti vi si va prevalentemente a confessare l’“essere” peccatori, ossia un predicato a buon mercato, e non l’atto di un peccato nitidamente individuato, che è la dottrina cattolica del peccato (cogitazione, verbo, opere, omissione nel Confiteor):
cioè nulla a che vedere con oscuri psicologici “sensi di colpa” che umiliano ministero, ministro, penitente:
è mai possibile che tocchi a me insegnare il cattolicesimo cioè fare il Papa?, no grazie!, per mia fortuna il Santo Spirito ha scelto qualcun altro.
A proposito di cattolicesimo dico chi sono io, a coloro che credono di conoscermi prima che a coloro che non mi conoscono:
non sono uno “psicoanalista cattolico” (ridicolo!),
né mai ho conosciuto la “crisi di fede” (ridicolo!),
semmai ho dovuto costruire il concetto di “fede”, precedentemente vaghissimo, come giudizio razionale di affidabilità.
E anche ho dovuto riconoscere e coltivare il pensiero di Cristo come razionale e affidabile in sé senza Greci di mezzo, anzi!:
è stata l’ellenismo in seno all’ebraismo a volerlo morto:
sotto la croce c’era non tanto il Sinedrio quanto la Scuola di Atene.
Dico che io sono un Freud convertito al cattolicesimo
– cosa che Freud non ha ritenuto di fare, malgrado il suo apprezzamento per Cristo -,
radicalmente esente da ogni ellenismo, come già Freud.
Allo stesso tempo, non sono imputabile da qualsiasi psicoanalista al mondo di essere meno che freudiano, senza distinguo e fino alle virgole.
Escludo che la Chiesa avrebbe voluto né potuto impormi, come catecumeno, di convertirmi a Platone come preliminare alla conversione cattolica (crétins sì, ma ancora un po’ chrétiens).
Qualcuno potrebbe chiedermi perché non mi sono limitato a coltivare il pensiero di Cristo per mio conto, senza “fisime” cattoliche:
risulterebbe una interessante quaestio disputata, ma conosco pochi che la saprebbero reggere.
Ho anche il vantaggio che la Chiesa se ne infischia di me, così che ho le mani libere di lavorare senza venire meno ad alcuno dei miei doveri
(per vent’anni ho scritto regolarmente su due riviste cattoliche, ora non più).
Forse, prima di morire aprirò una Scuola di Catechismo, pronto a chiuderla se il Papa mi dirà di non gradire:
ma in fondo già lo faccio, e sa “Dio” quanto i cattolici difettano di Catechismo:
– ho difeso la Confessione cattolica, proprio per il fatto di distinguerla formalmente da quella psicoanalitica, e da quella giudiziaria;
– recentemente ho sostenuto la dottrina cattolica dei Santi (che ai protestanti non va giù);
– da anni coltivo il Simbolo o Credo di Nicea, anzitutto nella sua distinzione concettuale tra genitus e factus, ma presto vorrei passare al celebre, sempre oscuro, concettuale filioque (sono i due articoli non digeriti dagli ortodossi)
(anche J. Lacan era interessato al filioque).
PS
Ho già commentato l’indecente dibattito su Eluana, e anche detto che la legislazione vigente basta:
in essa il potere medico è limitato dalla procura che ha ricevuto dal malato come il titolare:
ma se proprio proprio si dovesse volere un supplemento legislativo, al posto degli opposti strilli sul “testamento (?) biologico” ci vorrebbe una legge finalmente con copertura finanziaria, perché gli oppiacei, che non sono per nulla eutanasici, costano cari:
come sempre, è il fattore economico quello in ultima analisi determinante.
Ormai setacciato l’intero campo (morale, giuridico, economico), nel setaccio del cercatore rimane soltanto la pepita malefica del sadismo:
divinità infernale adorata,
con piena imputabilità.
Milano, 03 marzo 2009