Non esiste.
“Bravo” ha senso per medico, avvocato, tecnico, soldato eccetera:
non si applica allo psicoanalista.
Quest’ultimo è semplicemente uno che
– posto un pensiero che non comporta per principio omissione e sistematizzazione, cioè censura al quadrato, una censura che cancella le tracce dell’esservi stata censura -,
applica questo principio, come tecnica, alla cura di quelle patologie che proprio da omissione e sistematizzazione discendono:
questa applicazione è stata chiamata, bene o male, “psicoanalisi”.
Queste patologie sono le nevrosi, il cui contenuto – inibizione, sintomo, angoscia, fissazione – è sempre presente anche nelle psicosi e nelle perversioni:
una presenza che ambedue disconoscono, e proprio questo le fa psicosi e perversioni.
Non ho intolleranze linguistiche, “bravo” si potrebbe anche dire di uno psicoanalista:
ma il significato cambia rispetto a ogni professione, in cui la bravura è individuata secondo una scala con i suoi gradi:
invece in questo caso significa soltanto la virtù (antica parola che assumo) dell’uguaglianza del proprio pensiero a un tale pensiero, come tale privo di Teorie e dei relativi dogmi.
In fondo è come per “bravo amante”:
a parte battute piccanti, peraltro gradevoli se le si sa fare, l’amante è bravo proprio se non è tarato sulla performance scalare:
se lo è sarà un tarato proprio nella performance, vistosamente nell’impotenza sessuale.
E questo lo sapevamo già da bambini, quando ci litigavamo divertiti su chi ce l’ha più … bravo:
ricordo che da bambini eravamo stupiti, non che le bambine non fossero … brave come noi maschietti, ma che entrassero, senza divertimento alcuno, in un litigio che non le riguardava e non le diminuiva.
Non che l’esperienza cumulativa non conti, al contrario:
ma solo se è l’esperienza cumulativa di quel pensiero, forma di pensiero sostanziata da tanti casi:
ma se l’analista dimentica tale pensiero, l’esperienza diventerà nemica sua e dei suoi clienti, e ingannerà lui proprio come inganna il malato:
già da bambino, per il quale l’esperienza dell’adulto fa da macigno invece che da eredità.
Milano, 26 marzo 2009