GUARIGIONE MEDICA E GUARIGIONE PSICOANALITICA

Esse co-incidono nella cessazione del disturbo, e un disturbo che, almeno in parte, viene riferito correttamente al medico ed è riconoscibile (si spera) da esso,
malgrado la necessaria grossolanità della medicina, per non saper distinguere sintomo-inibizione-angoscia-fissazione (A cosa serve la psicoanalisi, mercoledì 25 febbraio),
nonché malgrado la sua impotenza terapeutica.

La terapia
– rammento che teràpon significa “compagno”, che c’è soltanto nella psicoanalisi (come un caso e applicazione di S – A), non nella medicina, in cui c’è soltanto comando-sottomissione, attivo-passivo, sapiente-ignorante, almeno fino a un nuovo Ordine di cui non si intravvede l’alba:
dunque, propriamente parlando, la parola “terapia” converrebbe anzitutto alla psicoanalisi, ma si sa che la storia delle parole è andata male, come ben si vede con la parola “amore” –
differisce come segue:

a. nella medicina si tratta, quando possibile (tralascio la casistica che fa eccezione), di reductio ad integrum, dove l’integrità è predefinita anatomo-fisiologicamente;

b. nella psicoanalisi si tratta di seductio ad alterum.

Lacan parlava di “cambiamento di discorso”, io da anni (senza contraddirlo pur correggendolo) parlo di passaggio di pensiero (in questa distinzione sono implicati molti anni del mio lavoro):
si tratta di quel pensiero di cui parlo sempre, “pensiero di natura”, che ieri ho definito, non per la prima volta, “ortodossia del soggetto”.

Questa è sì preceduta da un pensiero patogeno (Teoria, noxa non naturale, in quanto “noxa” significa azione che produce danno), dalle cui contraddizioni, con un’inferenza che chiamerei rigoroso-bizzarra, sono inferiti i disturbi:
ogni patologia è un maso chiuso (la Teoria) tutto spifferi (le contraddizioni).

Ma il patologico non è originario (vecchia discussione):
precede un integrum del pensiero che non è mitico, è quello che è stato chiamato “principio di piacere” (economico e topico o giuridico):
mentre invece non è dato, o predefinito, il passaggio di esso (l’unica “maturità” che esista) a “principio di realtà”, che è anche facoltà di giudizio:
è questo passaggio, o guado, il bersaglio dell’insulto patogeno.

Nella guarigione psicoanalitica il soggetto cambia Costituzione concludendone finalmente una che tiene (quella patologica non tiene):
non insisto ora sull’universalità di questa Costituzione a sede individuale, ma dovremo tornarci:
ricordo che in una tale idea siamo stati preceduti da Kant, benché in conflitto con la nostra.

a. nella medicina (quando possibile) la patologia è resa impossibile, per esempio quando gli antibiotici hanno tolto di mezzo i batteri (per la recidiva dovrà ripresentarsi la noxa naturale);

b. nella psicoanalisi non è creata questa impossibilità, perché resta sempre possibile la tentazione
– sottolineo questa parola perché proprio di questo si tratta e non di noxa naturale, come già di tentazione si trattava nel primo “trauma” patogeno, squisitamente umano e discorsivo (non c’è causalità naturale della nevrosi) -,
come tentazione di regressione al pensiero patologico (così ho definito la regressione).

La guarigione deve essere coltivata come il giardino voltairiano, la zizzania è sempre lì.

Quest’ultima distinzione (2°, a. e b.) è specialmente illustrabile a proposito dell’angoscia:
capita di sentir dire “l’angoscia non mi passa”, ossia un errore da vecchio pensiero:
l’angoscia non “passa” affatto come il mal di denti, ma decade al decadere, per passaggio ad altro pensiero, della paura di perdere un Oggetto che non esiste, “L’Amore”,
che, quando esiste, questa parola è solo un nome di una relazione positiva di profitto:
la parola “amore” ha dunque un puro valore denotativo e descrittivo.

Tale paura non ha causa, è fatta puramente di pensiero:
quello che si è insinuato come un virus in seguito alla minaccia (menzogna proferita da un altro) di poterlo perdere nella sua inesistenza.

Si constata che pur di non perder“Lo” si farebbe qualsiasi cosa, omicidio incluso (Freud notava che il suicidio è un omicidio con la mediazione della propria persona).

Il “senso di colpa”
– Raskolnikov che uccide la “vecchiuccia”, per poi agire in modo da farsi scoprire allo scopo di dare un senso a tale “senso” -,
non è che una versione dell’angoscia.

Dunque attenzione al “bisogno di amore”:
rende disponibile a qualsiasi Capo e infamia.

Milano, 05 marzo 2009

 

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