LE CIFRE DELLA CRISI

Questo titolo non è metaforico, parlo proprio della Crisi economica, e anche di quella già presente prima ma che non  sapevamo individuare, né come comuni cittadini né come professionisti dell’Economy.

Darò delle cifre, e solo per proporre un punto di partenza benché ancora lontano dall’esattezza, con due premesse:

1° ripropongo la mia definizione dell’uomo (data in una mia lezione alla Bocconi circa quindici anni fa):
l’uomo è una 48-Ore ambulante:
ho detto a qualcuno che “Il Sole-24 Ore” dovrebbe intitolarsi “Il Sole-48 Ore”), perché a mezzo bisognerebbe mettere il sonno-sogno:
il presente Blog-Quotidiano potrebbe intitolarsi così, facendo sua l’intuizione di partenza del noto Quotidiano:
la novità sta nell’associare strettamente economia e diritto, la cui unione è Giustizia e la cui disunione è Ingiustizia:
questa stretta associazione è anche la nuova Filosofia inaugurata da Freud.

2° ogni singolo uomo dà un contributo all’economia o diseconomia generale
– sto parlando dell’Economia propriamente detta, non di interiorità né di psicologia: non si distingua più tra “economia psichica” e economia reale, quella è materialisticamente reale quanto lo è il perdere il posto dopo una delusione amorosa o il lavorare male nella depressione psichiatrica o il panico nella crisi di panico -,
un contributo che è suddiviso in queste quattro categorie dell’agire economico individuale:

(a) lucro emergente, almeno congetturalmente
(b) lucro cessante
(c) danno emergente
(d) lucro non emergente (Luca Flabbi ne ha scritto recentemente, à paraître).

Ebbene, definito il pensiero come forza-lavoro investibile nell’ideazione di lucri possibili nonché legittimi (una forza-lavoro già ovvia nell’imprenditore), la mia esperienza (osservazione) attesta, oltre agli imprenditori comunemente detti:
(a): che un tale investimento, anche solo congetturale, è maggioritariamente minimo, azzardo dallo 0 a un ottimistico 10 (su 100);
(b) (c) (d): che il contro-investimento va da alto a massimo:
assumendo per buono l’ottimistico 10 che precede, potremmo partire dal supporre che la maggioranza umana si distribuisca secondo 30, 30, 30, salvo correzioni anche ingenti.

Potremmo dire:
tutti kantiani: disinteresse, spassionatezza:
in fondo Kant ha solo formulato come imperativo categorico un dato sociologico-patologico di vastissima osservabilità (la piccoloborghesia), come già Platone con i suoi diseconomici prigionieri nella caverna:
qualcuno li ha appena chiamati, in un lapsus perfetto, prigionieri della caserma.

Non spendo righe né pagine per documentare l’evidente (ma negata nel discorso) diseconomia quotidiana della patologia:
non le spendo perché ormai riparto dal rimettere la patologia sui suoi piedi di diseconomia:
è da questa che bisogna ripartire per conoscere la patologia.

La diseconomia-patologia è osservabile e descrivibile nel generale non fare “rendere” i propri appuntamenti, incontri, occasioni di ogni specie, compresi i propri pensieri (tra i quali i sogni e i lapsus), al che potrebbe invece dedicarsi la forza-lavoro del pensiero, cioè il suo orientamento:
la diseconomia-patologia è dis-orientamento.

Va ancora osservato che l’attività di contro-investimento è militantemente contagiosa-delittuosa, come gli “untori” manzoniani:
si agisce in modo che anche gli altri non investano, o contro-investano, con miseria delle nazioni per “sentimenti morali” al ribasso (vedi Adam Smith).

Moltiplicate questi dati individuali per le decine o centinaia di milioni di abitanti di un paese (eccettuati i bambini):
solo poi mi si potrà obiettare che io deliro se, Psicoanalista, mi riconosco e definisco anzitutto Economista.

Rispondo a Pavese:
non lavorare bensì contro-lavorare stanca, e senza favorire il riposo, con prevedibili e calcolabili conseguenze sul lavoro del giorno dopo.

L’unica mia obiezione a Marx è di non avere pensato il pensiero come forza-lavoro:
eppure lui non ha fatto che investirla, con passione e interesse.

Milano, 23 febbraio 2009

 

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