É uno dei miei ricordi cari riguardo a mio padre, veronese, verso il quale ho tardato a esternare riconoscenza:
prima o poi vorrei esternare le mie diverse riconoscenze verso di lui, ora mi accontento di una.
Su alcune cose si ripeteva con piacere e bene, poi ho capito che ci metteva dell’intenzione:
tra altre cose nel raccontare compunto-divertito questo breve dialogo rituale tra due contadini del contado veronese nell’incrociarsi su un sentiero, magari sul far della sera:
a conti fatti, dato che lui lo apprendeva nel primo Novecento, queste battute dovevano essere già attuali almeno nell’Ottocento:
– “ ‘eto paura?” [hai paura?] – “Macché paura!”
e così il giorno dopo, o fra contadini diversi.
All’epoca la paura poteva riferirsi ufficialmente a miseria, carestia, malattia, morte, guerra …:
ma provate ora a sostituire alla parola “paura” la parola “angoscia”
– prima e dopo il Novecento –
come già nei due contadini del veronese.
Sono cose da Shakespeare:
leggete o rileggete “Macbeth”.
Milano, 1 dicembre 2008