SANGUE E RAPE

Dagli anni liceali ricordo con piacere un divertissement di quel nevrotico, depresso, misogino che era Cesare Pavese, piemontese:
ma non era un nonsense perché è sensato, come la mia esegesi mostrerà:

“Pupe fiape
come rape,
rape d’üa
d’una fumna
patanüa.”

(traduzione: ragazze fiacche / come rape, / (g)ra(s)pe d’uva / di una donna / tutta nuda.)

Nel passaggio da “rape” a “(g)ra(s)pe”
– la graspa o graspo è il grappolo ormai spremuto, da cui la grappa –
Pavese fa un passaggio nevrotico sì, ma che ridà umanità alla solo naturale e irriducibile rapa (a volte “patata”):
così la rapa della donna in quanto nuda
– o pura natura, la più antica delle sciocchezze e sciocchezze filosofiche –
è riportata, con la mediazione mnemonica della (g)ra(s)pa, alla dignità del grappolo.

Non da ieri dico che non c’è donna nuda (illusione pornografica):
nel caso, il suo amante la copre, se sa il fatto suo.

Ho anche già osservato che la figura mistica dell’“anima nuda” davanti a Dio, fa di quest’ultimo un frequentatore di siti porno, in ultima analisi pedofili:
pedofilia teologale (di vecchia data).

Approfitto di questa citazione da Pavese (appena fatta al Corso dello Studium Cartello di sabato 15 novembre u.s.) per riprendere un pensiero e quesito che ho avuto cento volte:
ossia l’impressione che nella psicoanalisi abbiamo la pretesa di cavare sangue da una rapa.

Rapa sì ma, femminile o maschile, rapa nevrotica cioè già e da sempre umana, mai pura natura, senza di che resta vero che non si cava sangue da una rapa:
si osserva però che a volte la rapa fa del suo peggio per restare rapa, fissata alla Teoria della natura o della rapa.

Milano, 17 novembre 2008

 

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