IL PRIMO ERRORE: IL VIOLENTO AMORE

Sabato domenica 22-23 novembre 2008
in anno 152 post Freud natum

 

Lettura di:

Sigmund Freud
Sulla vita amorosa
OSF passim

Tutti dovrebbero leggere questo saggio di Riccardo di San Vittore (XII secolo), “I quattro gradi della violenta carità” [*], per mettere alla prova la propria capacità di provare orrore:
non l’emozione isterica dell’horror, ma quello sbrigativo di un riflesso rapido dello spirito, simile a un “non gioco più”.

I quattro gradi dell’amore violento:
1o ferisce, 2o incatena, 3o fa languire, 4o fa venir meno:
sono i quattro gradi di “quell’amore ardente e impetuoso che penetra il cuore e infiamma il sentimento trafiggendo l’anima fino alle midolla”.

Ma Riccardo non è allusivo né spirituale, anzi mostra di essere attento uomo di mondo quando descrive con precisione da scienziato naturale questo amore tra gli amanti:

“[…] diventa spesso follia. In questo stato sorgono spesso liti fra gli amanti: essi hanno frequenti alterchi e, quando mancano reali motivi di ostilità, ne inventano di fittizi e spesso di inverosimili. In questo stato l’amore si trasforma spesso in odio, perché nulla può soddisfare il reciproco desiderio. […] quanto più ardente sembrava prima il loro amore, tanto più feroce diventa l’odio con cui si perseguitano dopo. Anzi, cosa ancora più stupefacente, spesso nello stesso e identico momento essi si odiano in maniera tale da continuare tuttavia a bruciare di desiderio e si amano in maniera tale da continuare ugualmente a perseguitarsi con il loro odio. Così, amando odiano e odiando amano, e in modo mirabile, o meglio miserabile, l’odio cresce […]”.

Negli affetti umani Riccardo, senza peli sulla lingua, precisa ulteriormente:
1o il primo grado ancora ancora può essere “buono”, diciamo potabile, 2o ma il secondo è “cattivo”, 3o il terzo “malvagio”, 4o il quarto “il peggiore di tutti”:
annoto appena il sadismo implicito ai quattro gradi.

Ma conclude con un salto veramente…mortale:
“Quest’ultimo grado è dunque il peggiore di tutti nei desideri umani, mentre è il più nobile negli affetti divini” [sottolineatura mia]:
le pagine successive sono il delirio che cerca di dare svolgimento al salto.

È manifesto e dichiarato che Riccardo descrive l’innamoramento, che inizia con la ferita da freccia del “Dio malvagio” Eros, poi trasferisce il Dio malvagio in Cielo:
cose da Inferno dei Bestemmiatori, peggio, degli Eretici.

Ma è da venti secoli, cioè dal primo giorno, che il cristianesimo ha ceduto le armi sull’amore:
è lo stesso cedimento dell’umanità (“peccato originale”):
l’errore è talmente flagrante e perfino grossolano da giustificare la domanda:
a che servono i millenni?:
l’enormità di questo errore è più precoce della pur precoce storia delle eresie, e a mio giudizio la condiziona.

In terra o in cielo, l’ “amore” ha in comune il “perdere la testa”, l’inimicizia per il pensiero:
considero un frutto della mia vita l’avere proposto una definizione dell’amore:
l’amore è l’amicizia del pensiero (“del” soggettivo e oggettivo):
il pensiero è l’artefice del legame sociale dell’appuntamento (o il suo dissolutore, ed ecco la dissolutezza).

Come pure, ho come frutto l’avere ricollocato Freud, da inventore della psicoanalisi a primo Amico del pensiero nella storia del pensiero:
una ricollocazione da cui medito di ripartire per il tempo a venire.

__________

[*] in: “Trattati d’amore cristiani del XII secolo”, Fondazione Lorenzo Valla, Arnoldo Mondatori Editore, Milano 2008, vol II, pp 471-652.

Milano, 22-23 novembre 2008

 

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