UN ROMANZO COME TANTI. SORDITÀ

Immaginate un romanzo con questa trama di partenza:
un uomo è innamorato perdutamente di una donna, ma proprio perduto per avere davvero perso la testa, con tutte le possibili conseguenze pratiche e psichiche, passive e attive, banali e orribili a un tempo, come si conviene logicamente in seguito alla perdita della testa (anche la “risulta” ha logica).

Idem per quella donna, che non può che essere il corrispettivo di tale perdita, anche nel non corrispondergli in nulla, con un sadismo che forse precedeva, ma che certo deve necessariamente conseguire.

Se l’autore del romanzo è abbastanza acculturato può ora inserire un capitolo storico sui precedenti generazionali dei protagonisti (ovviamente proto-agonisti in nulla), magari ispirandosi a Shakespeare dando un possibile contenuto a Montecchi-Capuleti, un contenuto sordido quanto quello appena schizzato.

Tra le conseguenze c’è che quell’uomo diventerà un personaggio minore, emarginato, avvilito, che a volte apparirà ancora sullo sfondo ma solo per rappresentare l’uomo che non serve a niente.

Ma ora compare un terzo personaggio, una donna anagraficamente parlando, che si cala (è proprio il caso di dire) nei panni di quell’uomo:
la stupida ragione per farlo non viene indagata dal romanziere, forse anch’egli vittima di una tale ragione altrimenti cesserebbe di scrivere romanzi del genere.

Sta alla versatilità della fantasia del romanziere stesso il rappresentare tali panni fisicamente oppure psichicamente:
si tratta in ogni caso di ciò che chiamiamo “identificazione”, ma faccio subito sparire questa parola, per scongiurare il troppo facile “intendersi” degli psicoanalisti, il cui intendersi da cent’anni è sordo.

Anche “lei” dunque è innamorato di quella donna, la quale a sua volta era anche lei a mal partito come donna:
nel matrimonio c’è partito buono, partito cattivo, e mal partito, anche nel senso di partito male – errare humanum – e continuato così – perseverare diabolicum.

Che accadrà nel seguito del romanzo?, e qui la scelta del verbo decide tutto:
se ci sarà un accadere ci sarà soluzione, successo,
oppure ci sarà solo succedere senza successo, ossia successione di pseudoeventi di personae (maschere teatrali) che sono delle comparse perché già prima di loro non c’era stato accadere.

Nel succedere, ogni buon “negro” ben pagato potrebbe continuare il romanzo in tutte le varianti limitate concesse come risulta:
i seguiti saranno, comunque, o banalmente perbene o banalmente efferati o mix, copioni arcinoti con spruzzi di originalità affidati per esempio a fondali storiografici diversi (tra gli altri il Medioevo va ancora forte).

Altra soluzione?, anzi soluzione e basta, non “altra”:
quasi tutti direbbero che non c’è e via col “disincanto”, benché ora bisogni che io rinunci all’ironia, ricordando che tutto è iniziato proprio dall’incantesimo, che fa perdere la testa, lanciato dal perfido Eros, anche lui a mal partito da sempre.

Ho additato la soluzione nell’evento che l’accadere offre invece del succedere, ne parlo da anni e non vi insisto:
l’innamoramento toglie soluzione come negazione, in eterno, dell’accadere, ed ecco L’Eterno:
ma in principio era il Verbo… accadere (sul λόγος vedi sabato-domenica 3-4 maggio).

Accenno però almeno a un pezzo di soluzione, necessario benché non sufficiente:
intendo la soluzione cinematografica, trasporre il romanzo in film:
i cui attori-protagonisti sono tanto più bravi come tali proprio perché sanno, con regista e sceneggiatore, che il romanzo è la negazione del proto-agonista:
l’attore-protagonista compie un atto di recitazione grazie a cui non si prende per il non-protagonista del romanzo:
l’isterico recita, drammatizza, senza atto
– neppure se fa esplodere le due Torri di New York e sé con esse -,
continua a restare nel romanzo senza farsene attore-protagonista.

La trama da cui sono partito non è l’unica possibile, ma è imparentata (bella famiglia!) con tante, comunque in numero limitato nella loro tipologia.

Importa annotare che “sordido” è il frequentativo di “sordo”:
designa la perseveranza diabolica nel militare il puro succedere, detto “divenire” dai Filosofi
– sto parlando del Romanzo filosofico -:
ai giorni nostri, dopo due secoli di militanze moderne, il divenire è l’unica militanza che resta, “dura e pura” o “boia chi molla”.

Non ho negato la possibilità del romanzo, e neppure della poesia.

Milano, 23 maggio 2008

 

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