LA SCELTA DELL’ASINO

Succede che di fronte al cibo qualcuno si ponga un problema di scelta
– mangiare/non mangiare: non mangerà -:
la diagnosi è di anoressia.

I danni della scelta non sono ancora calcolati, il computer stesso benché calcolatore si confonderebbe.

C’era una volta l’asino di Buridano
– anche se Giovanni Buridano (fine 1200-dopo 1358), un filosofo rispettabile, non era uno sciocco come l’asino che gli è stato proditoriamente attribuito -, che poi sarebbe un asino anoressico asservito alla compulsione della “scelta”.

Sappiamo però che un asino pranzerebbe benissimo con uno dei cumuli di fieno eguali e equidistanti, lasciando l’altro per la cena, ossia non sprofonderebbe nella frivola-seriosa equivalenza filosofica tra l’essere e il nulla:
ecco un caso in cui l’uomo farebbe bene a imparare dall’asino:
infatti nessun asino è tanto… asino da scegliere fino a morire di fame.

In generale, alla filosofia medioevale sfuggiva la patologia dello spirito (o psicopatologia), e in ciò la filosofia moderna non si è minimamente discostata:
ecco perché dico che la Modernità non è iniziata, se non con Freud:
fosse vero che il filosofo medioevale e moderno sapessero riconoscere nell’“asino di Buridano” una patologia contestuale al tessuto filosofico stesso, e certo non l’unica!

La diagnosi non è necessariamente di anoressia, basta essere un po’ versati nella diagnosi differenziale – mai difficile a condizione di sapersi porre il quesito, come tra svenimento epilettico e isterico -:
in questo caso può trattarsi di nevrosi ossessiva, ossia di quel dubbio metodico da cui Cartesio avrebbe fatto meglio a lasciarsi ammaestrare prima di pronunciarsi:
in essa uno si trova veramente nell’imbarazzo della scelta, laddove l’imbarazzo deriva proprio dal pensiero coatto “scegliere”  (frasi del tipo: “… o no?”):
vero che a volte ci si trova, a opera della situazione esterna, coatti a scegliere, ma è un onere.

La parola “libertà” è divenuta oscurissima, ammesso che sia mai stata chiara:
il suo uso pertinente ha inizio con l’eccitamento(-vocazione) in quanto recepito per ciò che è,
ossia non una causa bensì un’eccezione al mondo delle cause, come tale in-eccepibile, salvo obiezione di principio, o eccezione di principio che è una contro-eccezione.

Ogni discorso vocazionale della storia ha coartato religiosamente(-compulsivamente) il concetto di vocazione-eccitamento (esente dalla causalità naturale), tutt’al più concependo il passaggio dalla religione alla secolarizzazione, ossia non un gran che (M. Weber), e restringendo il concetto stesso di economia.

L’eccitamento è un plusvalore iniziale e gratuito anteriore alla produzione capitalistica di plusvalore:
non sarei il primo a associare libertà e gratuito (la “grazia”, ma chi ci ha capito qualcosa?)

É vero che il peccato umano è la disobbedienza, ossia la mancata soggezione, ma è la disobbedienza all’eccitamento:
in mancanza di tale sottomissione ci si sottomette a tutti i padroni, fino all’infamia oltre alla servitù.

Resta da parlare della “scelta” della nevrosi, e in generale della patologia.

Milano, 30 maggio 2008

 

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