[Da Raffaella Conconi ricevo, e volentieri pubblico.]
Riferisco un ricordo dei tempi del liceo classico:
una persona all’epoca si trovava in grande difficoltà allorché veniva richiesta di leggere in classe, pubblicamente, un testo in greco:
la difficoltà si traduceva nel fatto di sbagliare sempre gli accenti delle parole.
Ripensando al fatto si accorgeva che era una difficoltà inesistente, poiché nella lingua greca scritta le parole sono tutte accentate, ossia vi è già l’indicazione per la loro corretta lettura:
niente di più facile.
Questo ricordo è stato un’occasione per comprendere che la patologia rende difficile ciò che in partenza è facile:
la possibilità di apprendimento della pronuncia corretta era preclusa da un comando:
“Con le tue risorse, tu non (ap)prenderai nulla dal professore, e neppure dalla grammatica”,
un imperativo teorico (intellettuale) ha soggiogato il pensiero (intellettuale) già perfettamente adeguato alla bisogna, disadeguandolo, disadattandolo.
Allo stesso proposito, mi viene alla mente il caso di un bambino che conosco da qualche anno, Edoardo:
frequenta la scuola elementare con notevoli difficoltà di apprendimento (così è descritto dalle insegnanti), inoltre è disattento e disturba in classe.
A ciò si aggiunge anzi associa un’altra caratteristica:
ruba.
Corro alla conclusione:
che potrebbe fare un soggetto impedito nel moto del prendere? (e dell’apprendere come suo caso particolare):
una soluzione è rubare:
preclusa la via legale al prendere, rimane la via illegale del rubare:
benché imperfetto è un tentativo di soluzione.
[Mi preme il primo caso riferito sobriamente da RC, e che merita attenzione nella sua esemplarità estrema; come pure il secondo, nella sua relazione tra patologia e illegalità.
“Il diffacile” è una mia interpolazione nel titolo:
rammento la mia apologia di “donna facile”, rarità estrema: essa viene diffamata come diffacile.]
Milano, 8 maggio 2008