Domani parlerò del “Palazzo”, oggi della modestia (c’è relazione tra i due argomenti):
la modestia è sempre stata una virtù equivoca e tutto sommato ipocrita.
Per concepire la modestia devo pensare quella di Dio:
infatti ci vuole modestia, e coraggio che è solo il coraggio del pensiero, per iniziare un’impresa come si dice che abbia fatto, per poi avere cura che arrivi a buon termine, avendo egli dovuto constatare incidenti di percorso tali da mostrare che l’inizio non garantiva, che dio non garantiva dio.
Nel delirio religioso o mistico non è vero che ci si prende per dio:
si è solo dei dementi ossia senza modestia, coraggio, pensiero senza limiti:
senza limiti, ecco modestia e coraggio.
Come potrebbe portare a buon termine?:
certo non con l’immodestia, delirante demente e sempliciona, del miracolone finale onnipotente e onnisciente che mette a posto tutto e tutti, buoni e cattivi,
che sarebbe come dire “ripartiamo da zero!”, “abbiamo scherzato!”, “non era vero niente!”, fino alla ridicolaggine di “scurdiammoce ’u passato”.
É stata introdotta la parola “provvidenza”
– non direi mai che “dio vede e provvede”, semmai “ode e provvede” ossia ci mette la testa –
per designare la modestia del provvedere a che vada a buon termine tenendo dietro a tutti i fili,
– ma senza l’illusione del puparo universale, come credono tutti, del gran teatro del mondo -,
come opera di sovvenzione (economia) della residua libertà affinché diventi sovranità (il “buon termine”).
“Il padre lavora sempre” è la definizione stessa della modestia, senza muscolatura né ritmi stakanovisti, né prodigi da baraccone divino.
Alla modestia sono sensibile come psicoanalista, che tra i fili ha anche lapsus e frammenti di sogno:
la sua modestia è non considerarli bagattelle
– tutto potrebbe essere cominciato da un lapsus trascurato come “parva favilla …” -,
e che sia un puparo non può neppure venire sospettato data la resistenza che incontra perfino in chi lo paga, resistenza che, almeno questa benché non anzitutto questa, testimonia a favore del fatto che non ci sono pupi né quaquaraqua se non nell’immodestia.
Milano, 21 aprile 2008