Non ho certo un’insana passione per l’eremitismo, che mi interessa solo per la cifra che si può estrarne.
L’eremita, almeno in più casi, era uno che partiva bene, sia nell’esperienza di cui era tutt’altro che digiuno, sia nella conclusione che ne aveva tratto come esperienza di insoddisfazione:
ma per trarre questa conclusione doveva già sapere qualcosa della soddisfazione:
a tale esperienza dava il nome “mondo”, da cui non fuggiva affatto, lo lasciava benché senza lasciarlo … perdere,
e ne aveva non poco ma fin troppo.
Freud postmoderno, o primo vero moderno, del mondo moderno e mai moderno ne aveva anche lui fin troppo (disagio della civiltà e patologia correlate):
ne è stato il primo eremita senza fisime eremitiche.
Quello dell’eremita non era un progetto di disinvestimento, semmai di un investimento più riposante e fruttifero, senza la frenesia dell’angoscia:
un progetto che sa distinguere il moto, anche passivo, dall’azione.
Oggi il mondo è psichicamente più banale e povero di un secolo fa.
Con questa premessa visitiamo ora la cifra abitativa dell’eremita – che abita come tutti -, in quanto voluta come soddisfacente:
la tradizione ce la tramanda come grotta, ma potrebbe anche essere una suite del Waldorf-Astoria, con formale, e se possibile anche materiale, distinzione tra povertà e pidocchi.
L’importante è che il suo sito abitativo ha due uscite:
una divergente, che si apre sull’universo in tutte le sue varietà, varianti, variabili, in cui vengono prelevati i materiali per la produzione,
l’altra convergente, che si apre su uno spazio di legame con altri come lui ossia compagni o produttori, e qui c’è rapporto produttivo.
Qui c’è posto gratuito, non causato né proibito, anche per ciò che dicevo di Salomone e Regina di Saba (17 aprile), ossia per ciò che non figura nell’inventario dei beni, o il lusso senza lussuria.
Il tesoro dei prodotti fa Expo.
Per finire, faccio semplicemente osservare che questa medesima cifra si ritrova, nella sua uscita convergente in uno spazio a due, nella psicoanalisi, con un divano occidental-orientale che è l’emblema stesso del non causato né proibito:
fatta l’osservazione, c’è il pensiero di natura.
Milano, 29 aprile 2008