IL CASO E I CASI

Una battuta di quelle buone:
“Il caso è uno pseudonimo di Dio quando non vuole firmare” (John Doe, aprile 2008).

Nessuno più di Freud ha contestato il caso nelle vite personali, riconoscendogli un soggetto sotto il nome “inconscio”, con il che la battuta diventa:
“Il caso è uno pseudonimo di(dd)’io quando non vuole firmare”:
non lo vuole per difetto di titolarità, o legittimità, cioè l’“inconscio” è il … caso dell’io quando riesce solo nell’anonimato (J. Lacan diceva che il nevrotico è “un senza nome”).

C’è poi il caso che Dio abbia creato il non-caso, la necessità, la natura (ciò non sarebbe contraddittorio):
però egli stesso lo ammetterebbe obtorto collo, perché un Signore par suo non firmerebbe un’opera, non dico affatto spregevole o vile, ma che è la banalità stessa:
“banalità” è solo un altro nome della natura:
la Scienza è lì per debanalizzarla almeno un po’, ed è per questo che io psicoanalista, come Freud, sono per la Scienza (ma in ciò faccio parte di una lobby sempre più sparuta):
le nostre quotidiane e culturali banalizzazioni sono solo una cattiva copia deformata della banalità naturale.

Un tale Signore, poi, non ha certo creato i casi del diritto, dell’economia, della letteratura, della scienza, della politica, del pensiero, né l’“inconscio” come un caso del pensiero.

Ma allora quando firma?, ammesso che consideri il firmare, e in genere lo scrivere, come degno di un Signore par suo:
ho sempre pensato che Galileo non ha avuto una buona idea attribuendo a Dio di scrivere nella natura, per di più in caratteri matematici.

Ma sono questioni, nel mio … caso, di cui rifiuto di occuparmi, non per incompetenza mia ma per rispetto dei diritti altrui, in questo caso dei diritti divini prioritari su quelli umani:
infatti sta alla competenza di “Dio” dirimere le questioni che lo riguardano, da quella della sua firma e del suo nome a quella della sua esistenza (su questo argomento si è sempre cercato di tagliargli l’erba sotto i piedi, di prenderne il posto).

Alla mia, di competenza, sta il fargli posto:
non faccio che dire che ogni atto deve preparare due posti, di Soggetto e di Altro soggetto:
a rischio che il secondo posto non venga occupato, ma il rischio non è per il Soggetto bensì per l’Altro soggetto.

Ma ora mi sembra quasi di provare un’allucinazione uditiva, quella della voce dei miei Professori d’altri tempi che mi avrebbero rimproverato che Dio è trascendente:
non ne dubito, ma anche l’uomo lo è, anzi è da qui che sono ripartito almeno vent’anni fa con la meta-natura del pensiero de natura, legislativo.

Questo concetto di una metanatura reale, motoria, sensibile, non è  difficile, anche se ci sono voluti millenni prima di  Freud:
il mangiare umano (“pulsione orale”) è trascendente (non più “evoluto”) rispetto al mangiare animale (lo sa la lingua tedesca quando distingue, rispettivamente, tra essen e fressen):
l’anoressia è un caso di trascendenza polemica, come lo è in generale tutta la psicopatologia:
si vede che la trascendenza ha pur sempre qualcosa di soddisfacente, anche quando paga prezzi assurdi a un esattore feroce nella sua inesistenza.

Milano, 7 aprile 2008

 

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