TELEGRAFIA NON TEOLOGICA

Forse perché animato da buoni sentimenti pasquali, annoto un articolo di ieri (“Ultime notizie sull’esistenza di Dio”, La Repubblica 10 marzo, a proposito della Facoltà di Filosofia del San Raffaele), io che ho la Teologia come l’ultimo dei miei pensieri, aggiungendo un telegrafico riassunto di pensieri già detti e scritti.

Il giornalista informa che “Luigi Verzè ha fatto proprio il motto di Carlo Maria Martini: abbiamo bisogno non di credenti ma di pensanti”, posso dunque proseguire avendo questo stesso motto da una vita:
allo stesso tempo Gesù, mito o storia che sia, sta tra i pensanti non tra i credenti (ma questo non lo dice nessuno pur essendo … vangelo).

Nel suo pensiero trovo l’unico discorso razionale su “Dio” (sempre virgolette) che io conosca:
1° ha abolito la religione dal momento che ha dichiarato (sto ai testi) che il desiderio di “Dio” è quello di essere un uomo, e ciò è perfino un truismo – incarnazione più ascensione: parlo da pensante non da credente -, il che significa (sottolineo ancora che è il suo pensiero) che lo è desiderabilmente rimasto in saecula saeculorum:
un tale desiderio era e rimane inedito, dato che nei secoli nessuno ha asserito l’umanità come desiderabile (mè fùnai, meglio non esser nati: almeno una volta l’hanno pensato tutti), ma tutt’al più come tollerabile, salvo alternative (morte o droga o “Nirvana”):
il miglior discorso moderno sulla tolleranza si riconduce a questo, alla compassione nel mal comune.

2° ammettiamo pure che abbia usato una parola più o meno come “Dio”, era però come se avesse detto quark in aramaico, ossia, testualmente, una convenzione fonetica per designare sempre e comunque “il Dio dei nostri padri” o “il Dio di Abramo Isacco e Giacobbe” (proprio come in Esodo 3), ossia per designare il Padre (senza passare per un “Dio” logicamente anteriore):
salvo poi differenziarlo in Padre e Figlio secondo la razionale asserzione giuridica per cui il Padre è accertato dal Figlio reale in quanto erede e socio negli affari del “Regno”:
dunque non c’è nessun “Dio”, convenzione linguistica a parte, per designarli ambedue (ambetre se aggiungiamo lo Spirito).

In questa razionalità Gesù non era in conflitto con altri Ebrei come tali, ma con i Greci, o con Ebrei ellenizzanti.

Gesù non è stato teologo, filosofo sì, intendasi razionale:
essendo chiaro nel discorso di Gesù che di Ragione non ce n’è una sola, come pure assai più tardi nel discorso di Freud.

Nella medesima razionalità egli si esponeva a un rischio piacevole (come in “principio di piacere” che è intellettuale), e senza la minima retorica del rischio:
è il rischio segnalato nel secolo appena trascorso da J. Lacan, ossia che “Padre” non abbia alcun significato né senso aldilà della “figura paterna” o del “buon papà” (stupido come nevrotico, oppure perverso, anch’esso stupido malgrado pretese):
lo stesso rischio ha corso Freud, che sul Padre ha fondato tutto:
era lo stesso J. Lacan a esplicitare che il Padre di Freud è quello del “Padre nostro”.

Era un buon rischio, quello di sottomettersi a una falsificabilità non popperiana (tornerò su tale falsificabilità):
finalmente un “Dio” che accetta la disputa, e non a caso i Vangeli narrano una disputa ininterrotta, a volte incandescente, priva di fini educativi.

Nelle metafore d’epoca Gesù è asceso al “Cielo”, ma è chiaro che portava il Cielo in Terra,
lasciando a noi di inventare un’altra topologia che non quella metaforica dell’aldilà del Cielo delle stelle fisse o dell’aldilà delle galassie.

Me ne intendo almeno un po’ come psicoanalista:
come tale (come forma e forma dinamica) non mi vede quasi nessuno, sono invisibile benché perfettamente sensibile e descrivibile.

Milano, 17 marzo 2008

 

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