Faccio anch’io dei sogni, così detti diffamatoriamente non referenzialmente, o meglio con referenzialità sì ma riguardo alla diffamazione stessa:
“sogno” infatti significa “cose da addormentato” se non da “morto di sonno”.
É da sbalordire la resistenza ad accettare una tra le più ovvie osservazioni freudiane:
ossia che “sogno” designa un caso del pensiero, il cui contenuto proviene da un’attività produttiva vigile:
ma poi ci si alza dal letto solo per continuare a dormire a occhi aperti, magari per declamare realismo, concretezza, piedi per terra:
la più celebre diffamazione della storia è quella del titolo “La vita è sogno” di Calderòn de la Barca, che significa “non è vero niente”.
Parlare di ermeneutica dei sogni è fuorviante, semmai si tratta di traduzione letterale per un caso particolare di testo:
ma prima ancora vi si tratta di temi cui dare soluzione, e precisamente temi di un ordine del giorno così come ce ne sono in situazioni diverse, nelle quali è noto che trascurandoli gli affari andranno male.
Nei “sogni” l’ordine del giorno è quello di un Ordine trascurato come tale, più quotidiano di ogni quotidiano, gli effetti della cui trascuratezza possiamo perfino contabilizzare monetariamente:
sono anni che invito a fare la contabilità materiale della psicopatologia, per scoprire che questa è anzitutto diseconomia.
Vi sono censure diverse per gravità:
la meno grave censura singoli temi, la più grave censura l’ordine del giorno come tale ossia il pensiero in atto ogni momento:
che tanto più è pensiero in quanto opera anche nel sonno, ossia un pensiero la cui attività è riposata e riposante:
non esistono sogni d’angoscia che per la censura.
Mi resta caro un sogno di più di dieci anni fa, che alzandomi ho subito annotato – la sequenza di lettere “Quoniora”- su un post-it, che lungamente ho tenuto incollato sul vetro di un quadro alla mia destra:
tutt’oggi esso mi rimane non tradotto, e questo fatto non solo non mi preoccupa, ma mi serve ancora come memo pacificamente incompreso di un Ordine distinto da ogni altro, al quale appartengo senza servitù, e che servo così come servo da bere ai miei amici.
Milano, 10 marzo 2008