L’ISTERIA A SAN REMO

Prendo da una lettera personale appena scritta.

San Remo è una rappresentazione canora italiana a risonanza mondiale:
lo è del gran Teatro del mondo, teatro del dramma isterico:
l’isteria è drammatizzazione, con l’implicita Teoria che non esiste che dramma (vedi “Non è vero niente” di sabato-domenica 1-2 marzo).

La canzone (d’“amore”, che altro?) obbedisce a due principî:
1° l’“amore” è un disastro, 2° è imperativo tenerselo così com’è, senza sapere.

San Remo è con Socrate, il primo isterico confesso cioè militante della storia:
“So di non sapere”, con bugia incorporata nel “so”, passione dell’ignoranza:
Socrate programma l’opposizione di sapere e conoscenza:
l’ignoranza non sopporta l’amore, non lo supporta, l’innamoramento è ufficialmente fondato e affondato dall’ignoranza (“perdere la testa”);
il mitico Eros esiste soprattutto nella forma non mitica dell’isteria:
ci si fa il callo, non quello del lavoratore né dell’abitudine ma il callo isterico a mani pulite (indifferenza).

A San Remo ha cantato, bene e bene ha fatto, non complice, Maria Giua:
con sapere:
“Aspettami, che io non vengo”, e con l’aggiunta di imputabilità (per il testo: maria@giua.it ).

A questa canzone ne associo un’altra del 1952 sempre a San Remo, che ha avuto successo mondiale:
“Papaveri e papere”, che con mia sorpresa tardiva è un’accurata descrizione della distruzione del complesso edipico, e come premessa di “non  vengo”:
vi si narra che una ragazza domanda al padre se possa amare un altro come lui (“papare”), ma il padre risponde di no:
in questa distruzione il padre può essere sciagurato come la madre, ma questa solo dopo (vedi testo con Google),
e allora “Ma questo romanzo ben poco durò…”
(sottolineo il verbo nell’accurata sequenza “papera-papero-papà-papare-papavero”, mentre l’interpretazione “pappare” è già linguaggio della distruzione).

Milano, 5 marzo 2008

 

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