INNAMORARE, VERBI, CONIUGAZIONI, ORDINE DELLA SALUTE

Non ce l’ho con i verbi (“innamorare” in questo caso), né in generale con la lingua (era R. Barthes ad avercela: “Il fascismo è la lingua”).

Inoltre, sono passato da lungo tempo a riconoscere precedenza al verbo sul sostantivo, all’atto sulla cosa:
l’ho detto in breve, ma qui sto imputando l’intera storia del pensiero, che ha perso il significato (intellettuale) per avere trascurato il senso (reale, del movimento), e siamo fermi qui (patologia):
la restrizione del pensiero alla coppia parole/cose è la più grave limitazione che l’umanità abbia subito, paragonabile alla schiavitù nella storia.

Non ce l’ho con i verbi bensì con la vicenda della loro coniugazione, con certe loro possibili coniugazioni, anche se qui estendo questa parola oltre il suo usuale significato grammaticale di flessione del verbo:
potrei dire, sul modello di una delle frasi più vere della lingua, “dimmi con chi coniughi e ti dirò chi sei”, essendoci coniugazioni senza coniugio.

Del disagio della lingua come il disagio della Civiltà, è un antico esempio tragicomico la coniugazione “mi sono innamorato” (finisce male), “mi sono sposato” (divorzio in vista), mentre la coniugazione “innamorare …” o “sposare …”, con la sua fuoruscita dal celebre malocchio detto “narcisismo”, inaugura un altro mondo.

In analisi lo si vede bene:
la sua operazione, la produzione di “amore di trasporto”, è quella di in-amorare, cioè è produttiva di una facoltà precedentemente sconosciuta (o caduta nell’oblio) detta “amore”,
che è una relazione 1° capace di una confidenza il-limitata, senza umiliazione né mea culpa perfino a proposito di fatti umilianti e colpevoli, una confidenza che non si dà neppure tra gli amanti più confidenti, 2° capace di risultati tangibili (anzitutto nel trascendere i limiti dell’inibizione del pensiero), alla sola condizione che non vengano imposti limiti alla illimitatezza del campo operativo dell’analisi.

Vanno in senso opposto le dichiarazioni d’amore, ossia di innamoramento, verso l’analista:
l’amore è produzione non dichiarazione,
tutt’al più la parola “amore” può venire spesa come didascalia.

La psicoanalisi è training per l’amore in piazza, casa, strada (non dico la prostituzione).

In ciò la psicoanalisi ha dato modestamente il cambio al cristianesimo nella sua iniziale ambizione di innovare e correggere quanto all’amore:
un’ambizione in cui esso non se l’è cavata molto bene da quasi subito, dato il fallimento preliminare dell’amore nella sua divisione tra due amori, basso e alto, naturale e soprannaturale, umano e divino, eros e agàpe.

Osservo che l’innamoramento non va a favore della vita sessuale, salvo qualche episodica e spesso infelice coit-erazione (il gioco di parole è di J. Lacan), e poi neppure più questa.

Potrei continuare a proposito di “sposare” (ne conosco pochissimi casi), ossia della produzione della facoltà di coniugio come il caso di una partnership implicante i sessi.

La lingua nelle sue coniugazioni è il campo del dissidio tra grano e zizzania (faccio mia senza riserve questa coppia evangelica).

Con premesse come queste, anni fa non mi è stato difficile ideare e progettare un piano di lavoro per la salute di tutti chiamato “Ordine giuridico del linguaggio”, privo di distinzione tra lingua e diritto:
piano di verità (imputativa):
considero buon investimento spendere il tempo in questo lavoro di Civiltà, Kulturarbeit.

Milano, 11 marzo 2008

 

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