COMUNISMO: DI QUALI MEZZI DI PRODUZIONE?

Proseguo il precedente articolo sul Comunismo (“Voto comunista”, 15-16 marzo).

Non faccio giochi di parole, almeno per rispetto delle vittime di quella fretta (vedi sopra):
l’uso stesso della parola era frettoloso, prematuro.

Il capitalismo, apprendevo presto, è la proprietà privata dei mezzi di produzione, come preliminare non indolore del passaggio, non indolore a sua volta, alla proprietà collettiva dei medesimo mezzi.

Ma grazie e Freud, e poi con un’importante mediazione di J. Lacan (“Discorso del Padrone”), scoprivo che c’è anche, e davvero decisivamente, la proprietà privata dei mezzi di produzione intellettuale, ossia del pensiero che ne è fatto servo.

Perlomeno il capitalismo comportava, come propria condizione, l’abolizione giuridica della servitù (della gleba), in modo che nascesse l’operaio “libero” di vendere la propria forza-lavoro come una merce sul mercato del lavoro:
ma nulla di paragonabile è accaduto per il pensiero-servo, malgrado le affermazioni costituzionali e i diritti umani:
il pensiero – che è essenzialmente lavoro, e produttivo: ma come tale non è stato affermato da nessuno a eccezione di Freud – è rimasto servo:
un pensiero libero, se fosse, sarebbe iniziante, imprendente.

Se servo, lo è di nient’altro che della proprietà privata dei mezzi di produzione intellettuale:
una proprietà che da vent’anni individuo in “il Professore”, non importa quale e di che:
il Professore reale incarna il Professore ideale che è l’imperativo:
per pensare degnamente, “epistemicamente”, devi passare di “qui” (non importa quanto indeterminato è il “qui”, anzi).

Se non fosse che c’è poco anzi nulla da ridere, riterrei comico che il capitalista, piccolo medio o grande, non ha dovuto passare “di lì”:
non gli è fatto obbligo, né se ne fa, di certi studi, di un esame di Stato, né di iscrizione a un Albo professionale,
eppure il Capitalismo resta l’asse portante del nostro mondo anche intellettuale,
il che fa rabbia a quel Professore che crede di essersi ritirato “con gran dispitto” in un Aventino spirituale, puro e naturalmente “critico”.

Il Capitalista ha dunque dato il buon esempio per tutti, ma chi lo raccoglie?

Chi l’avrebbe detto che il primo a raccoglierlo è stato Freud, come imprenditore storicamente impensato (ma i suoi seguaci non l’hanno affatto seguito su questo terreno):
Freud è passato da Professore a Professante (il pensiero stesso come imprendente), che del Professionista mantiene sobriamente certe ragionevoli forme.

Weber aveva ragione a trattare il capitalista come vocazione, Beruf, benché ancora con una mediazione religiosa nella storia:
la psicoanalisi invita al passaggio alla vocazione (senza più alcuna mediazione religiosa), guarendo dalla patologia che è l’inibizione a un tale passaggio (già dall’infanzia, che ne partiva):
nessun Professore presiede alla vocazione.

Tutta l’enfasi deve spostarsi dalla Teoria (dominio privato del Professore) al diritto e all’economia (che non sono Teorie malgrado le Teorie su diritto e economia), perché ogni singolo ha un pensiero e comportamento economico e giuridico (tutelato dalla Costituzione), anteriormente a Professori e Professionisti in diritto e economia.

Anche la carriera politica non esige studi preordinati, esami di Stato, albi:
molto astrattamente parlando, perfino la carriera scientifica, e infatti Newton e Einstein erano dei “privati”, e anche Kelsen per sua stessa dichiarazione, per non dire Freud.

Tutta la resistenza, culturale e individuale, è al passaggio dalla proprietà privata dei mezzi di produzione intellettuale, non a quella collettiva, bensì a quella individuale cioè universale, in diritto e economia:
l’universalità ha solo l’individuo come san(t)a sede:
è quel comunismo che nulla garantisce né promette né impone, e che forse mai sarà, e che nessuna forzatura né fretta può favorire, anzi:
ma non è Utopia (l’Utopia ne è il nemico), né illusione (l’illusione ne è la confusione), è bussola ossia orientamento, esente dalla banalità della coppia di alternative ottimismo/pessimismo.

L’alternativa, e conflitto, è tra Istituzioni del pensiero:
il Professore sta dalla parte dell’Istituzione dell’Oggetto-obiezione all’Istituzione del pensiero:
è degna di nota la compulsione, o ossessione, a stare da tale parte:
“il Professore” è l’Oggetto che oggettiva, e inconsapevolmente umilia, i professori-oggetti.

A queste considerazioni si collega l’Idea di una Università della primaria competenza individuale, anteriore logicamente a un illimitato Politecnico di materie (Filosofia inclusa), in cui il dominio del Professore cede alla professione di Esperti della Materia, tanto più degni quanto più cultori della modestia di tale limite:
anzi della Materia fino-a-oggi, precisazione realisticamente importante:
1° perché ogni didattica è sempre in ritardo di almeno qualche anno, 2° perché il discepolo, meglio l’utente, ma meglio il cliente, potrebbe essere già più avanti (dato ovvio di osservazione).

Marx non riusciva a pensare un comunismo di pensanti, inizianti, imprendenti, profittanti, desideranti (serie di sinonimi), ma solo di lavoratori di seconda istanza e di bisognosi dal piatto pieno (ricordiamo il gulasch di Krusciov),
lasciando così campo libero, malgrado lui, agli spiritualisti di un piatto diversamente pieno (basta il concetto freudiano di “pulsione orale” per trovare unificato il  campo):
eppure è stato un vero pensatore cioè un lavoratore di prima istanza.

La regola o norma psicoanalitica – non sistematizzazione, non omissione – anticipa un tale comunismo dell’imprendere individuale:
l’impresa capitalistica stessa inizia da un atto intellettuale complesso, benché troppo spesso se non regolarmente inibito nella meta.

Milano, 28 marzo 2008

 

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