“CHI DICE DONNA DICE DANNO”, OVVERO: A COSA SERVE UN UOMO?

C’è delirio, o idea delirante, anche senza deliranti:
è il caso della nevrosi.

Nell’articolo “‘La’ soglia” (22 gennaio) ho parlato di una sequenza di idee deliranti, con i loro correlati omologhi, precedute da una premessa che questa volta non è un’idea ma una volontà (un’obiezione di principio):
i volontaristi coscienziali sono dei veri… incoscienti.

Tali idee deliranti e imponenti o impositive
– l’aggettivo “imponente” dovrebbe renderci attenti: non userei mai tale aggettivo per certi “grandiosi” paesaggi naturali, per la “bella” stellata, per le “grandi” galassie, che colgo piuttosto nella loro banalità fisica –
si impongono a uomini e donne (e non è proprio il caso di credere che “Mal comune mezzo gaudio”).

Senonché, quando si impongono alla donna diventa reale il cattivo anagramma “Chi dice donna dice danno”, non solo cattivo ma anche falso:
ma ci sono anche i falsi realizzati.

Qui c’è asimmetria uomo-donna:
in questa imposizione l’uomo diventa un idiota, del che la donna-danno approfitta appena può con intelligenza non invidiabile.

Allora non c’è pietà per nessuno, per loro, per i figli, per tutti quanti.

É a questo punto che sollecito la domanda “A cosa serve un uomo?”, o meglio a cosa potrebbe servire, cosa infrequente:
sottolineo il verbo “servire”, come un vero cavaliere.

Ma di questo verbo ci si è già avvalsi da secoli, però per il peggio:
intendo il cavalier servente dello scortesissimo “amore cortese” medioevale:
in cui i due “amanti” giacciono nudi sullo stesso letto, spada in mezzo.

Ne abbiamo una rappresentazione contemporanea in un romanzo, poi film, di Marguerite Duras, “Le ravissement de Lol V. Stein” (1964), in cui la bella giovane protagonista giace discinta sulla tolda di una nave nell’azzurro mare e cielo, tra due giovani uomini seminudi, senza movimento alcuno proprio come l’immobile mare:
la fantasia medioevale era leggermente più moderata, il cavaliere era uno solo, per esempio Parsifal con Biancofiore.

A me ha sempre suggerito l’immagine di due insetti (homo sive natura), magari farfalle, entomologicamente appuntati con lo spillo:
la spada fa solo da parete divisoria tra compartimenti feticisti o gay:
almeno per gli uomini, ed era J. Lacan ad annotare freddamente che “L’uomo è il sesso debole nei riguardi della perversione”.

Questa fantasia, ecco la “corruzione morale della gioventù”!

Dante ha fatto di peggio per avere rappresentato la donna-danno con gli accenti zuccherosi della formazione reattiva, cioè come una sadica gentile (“Tanto gentile…”), ossia da cavalier cortese molto scortese:
basta pensare allo stato in cui l’ha ridotta (letterariamente), un’insopportabile mammina-maestrina sessuofoba, militante di partito di un indeterminato PD (Partito Divino, non il Partito Democratico si spera):
Beatrice incarna – letterariamente, ma i casi letterali non letterari sono stuolo – il detto “Chi dice donna dice danno”.

Riprendo:
a cosa potrebbe servire un uomo, da vero cavaliere?:
se un uomo servisse a qualcosa – del che le donne hanno sempre più dubitato -, servirebbe ad alleggerire le donne dello schiacciante fantasma dell’articolo precedente:
finalmente un… cavaliere, un cortese amore senza “amore cortese”.

Ma come potrebbe un uomo servire in ciò una donna, dato che egli naviga nelle stesse cattive acque?,
è un  caso di “come può un cieco condurre un altro cieco?”:
ho una risposta, ma intanto ci pensino anche altri.

Milano, 24 gennaio 2008

 

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