Dice una celebre frase di un celebre passo:
anche se uno dà il suo corpo alle fiamme
– per esempio anzi soprattutto per una causa, ovviamente “giusta”: un eroe insomma -,
ma non come atto di una singolare articolazione dell’amore
– anzi: di una singolare articolazione detta “amore” -,
l’atto non solo non ha valore, ma per di più è ridicolo, un atto da “trombone”.
Esiste anche un caso peggiore, che chiamiamo “formazione reattiva”:
molto pericolosa, sono dei facin(am)orosi:
per chi non lo sapesse, “facinoroso” viene dal latino facinus che significava, almeno correntemente, delitto.
Importa poco che in quel passo un tale amore sia lessicalmente distinto come “carità”:
il primato del lessico inganna sempre, perché tale primato è trombone ossia puro suono:
è la sua articolazione come pensiero a distinguerlo.
Qui siamo traditi da un’antica tradizione di pensiero
– meglio: tradizione di Teoria come sostituto del pensiero –
che malignamente distingue intelletto da passione (e pone l’amore nella passione).
Solo un pensiero può essere amoroso:
l’amore, se è, è una sequenza ordinata, riconoscibile in tutti i suoi articoli, logico.
Una sequenza con lavoro, benché non catena di montaggio:
un sogno che mi è appena stato narrato correla lavoro (inventivo) e amore, e perfino tecnica.
L’innamoramento non ha a che vedere, è fuori, “fuori di testa” come correttamente si dice.
Brutta cosa lavorare per una “cosa” o causa, cioè l’Oggetto occupante come una Forza di occupazione.
Milano, 11 dicembre 2007