ARBITRIO

La storia della parola “arbitrio” basterebbe a fare da filo conduttore per una storia della paranoia, ma anche dell’isteria:
“che cosa vuole da me?”:
e se non ci fosse nessuno a volere qualcosa da lui? (tutto parte da qui).

Una volta si disputava tanto se l’arbitrio fosse libero o servo:
Lutero rispondeva non-libero bensì servo, ma io proprio perché psicoanalista non sono luterano.

Ma certo la tentazione a dargli ragione è generalmente fortissima, e sotto-sotto anche i cattolici più doc gli danno ragione (sarebbe facile dimostrarlo).

Un po’ di onestà e verità non guasterebbe:
quella di riconoscere che della libertà non sappiamo niente (o quasi, ma è una concessione a denti stretti):
non che la Modernità non abbia fatto qualcosa, ma non gran che.

Negli ultimi secoli, solo Freud ha risollevato la questione del libero arbitrio, nella forma della questione che sono io a formulare:
se il pensiero esista solo come causato,
anzitutto in quanto educato o formato, e questa è la questione maggiore del nostro tempo:
se l’educazione tiene il primo posto, allora servo arbitrio.

Siamo dei coatti (patologici), non degli arbitrari, cioè siamo nella miseria psichica.

La libertà ha una condizione tecnica:
il che è odiato da ogni spiritualismo, che vuole la libertà come un predicato dello spirito, senza tecnica alcuna (senza mediazione, senza lavoro).

É una condizione tecnico-giuridica che sostengo da molti anni:
la libertà dipende dall’imputabilità (l’ho imparato da H. Kelsen).

Se l’arbitrio fosse, sarebbe anzitutto pensiero, logico cioè universale (senza contraddizione) quando non è coatto:
Servo arbitrio significa servo-pensiero:
Lacan è stato l’esploratore del servo-pensiero.

Milano, 19 ottobre 2007

 

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