Qualche notte fa è morta nel sonno una giovane anoressica (conseguenza del danno biologico prodotto dall’anoressia).
Pochi giorni prima incontrando una conoscente l’aveva salutata immediatamente, senza preamboli, dicendo:
“Peso n chili!”:
carta d’identità fissa ed esclusiva, a muso duro.
L’anoressia è suicidio au ralenti, omicidio a rovescio come ogni suicidio.
Tende al suicidio, eppure ha dalla sua una scoperta in sé buona e altamente valorizzabile:
che non esiste istinto di conservazione individuale, ossia che non è la natura a comportare di mantenersi in vita.
Ripeto, una scoperta in sé entusiasmante:
quella di avere un corpo che, per avere una legge di gravitazione come gli altri corpi della natura, deve recepirla, o andarsela a cercare, o guadagnarsela, magari in prestito, o in comodato, o in omaggio (non in elemosina), o per consulenza (in ciò l’amore è consulenziale).
É come per avere un lavoro:
bisogna riceverlo o cercarlo.
Non siamo ancora usciti dal contado della mente:
non abbiamo ancora capito che nasciamo inurbati, non contadini neppure nella medioevale campagna della servitù della gleba.
L’anoressia gioca male la sua migliore carta.
Milano, 10 luglio 2007