“Anziano” è definito dai parametri di età e condizione sociale e spesso fisica (più dopo che prima): ma c’è anzianità del pensiero?:
che è l’umorismo nero inapparente della “pace dei sensi”, cimitero fin dai verdi anni;
c’è poi quel “Nirvana” di cui parlerò, idea che non condivido ma che trovo logicamente degna che con essa ci si confronti.
La nostra Cultura anche politica e sindacale è anzianistica, nonché anziana e molto:
auguro sì a tutti una onorevole pensione (ma “lasciate ogni speranza…”), però la nostra Cultura politica e sindacale continua a veicolare un’idea pensionistica della vita;
convengo con la critica del precariato selvaggio, ma anch’essa veicola l’idea pensionistica del posto fisso (“dalla culla alla bara”);
osservo che nessuno contrasta l’idea di “vita” come quella che si desume dall’espressione mortifera “ciclo della vita”;
annoto che la melanconia (canzoni napoletane) può essere di giovanissimi, e continuare poi così tutta la vita (ma difendo i Napoletani, meno melanconici di molti altri);
arrendiamoci a concludere che è anzianistica la Cultura dei tre tempi di vita tanto della Sfinge quanto di Edipo, i quali coincidono nella vecchiezza del pensiero:
la stessa delle ninne-nanne, in cui il bambino è un vecchietto con il biberon;
termino la serie rammentando che Dio, quando è rappresentato, lo è come anziano:
il Padre come anziano, con Madre come matrona attempata (“età canonica”).
All’inizio della serie c’è (con precedenti più remoti) la vecchiezza immanente all’Ellenismo dominante il pensiero da almeno duemilacinquecento anni:
il primo giovane, almeno nell’era cristiana, è Freud, infine anziano e mortale sì ma con discrezione, con lavoro fino al giorno prima.
Non c’è né infantilismo né anzianità del pensiero sano, e nemmeno mortalità:
la sua pace dei sensi è vita dei sensi, che non devono niente a nessuno perché non sono coatti se non nella patologia.
Milano, 15 giugno 2007