Domenica 6 maggio 2007
in anno 151 post Freud natum
Sigmund Freud è nato proprio il 6 maggio 1856
Lettura di una citazione:
S. Freud
Il mio tempo deve ancora venire.
Ma per ora è già passato.
S. Freud, lettera a Arnold Zweig, 28 gennaio 1934
Oggi è il 151° dalla nascita di Freud, non più il 150°.
Lo celebro definendolo nel suo atto principale anzi unico: Freud è legislatore.
Chi avesse dei dubbi sul fatto che Freud si prendeva come “a immagine e somiglianza di Dio”, nonché come legittimo discendente del “Libro”, ora è servito:
basta quella citazione e questa definizione.
Cadeva dunque bene la battuta di J. Lacan:
“Amici cari, un giorno dovremo dimostrare l’esistenza di Freud”.
Per riconoscerlo legislatore, è sufficiente costatarne il riordino dell’esperienza a ogni livello ottenuto grazie al duplice principio di non omissione e non sistematizzazione, dal quale è atteso proprio un ordine: l’ordine non deriva dal comando che anzi dis-ordina:
è riduttivo vedere in questo duplice principio soltanto la regola anzi la norma “tecnica” della psicoanalisi: in questo modo sfugge la tecnica stessa e la si riduce al solito cic-ciac “psicoterapeutico”.
La sistematizzazione – anche quella dei filosofi, dei politici, degli “spirituali” – altro non è che il comando risultante dalla necessità di occultare “onestamente” l’omissione (che da anni chiamo “la pietra scartata”, compreso il “capello del capo”):
cave non il povero canem ma chi si è sistematizzato come onesto, buono, amoroso.
Sistematizzazione significa anche organizzazione:
se continuassi farei la storia dei massacri novecenteschi (sanguinari o/e spirituali);
sistematizzazione e anarchia colludono, malgrado il loro conflitto storico.
Il disordine – del pensiero, del corpo, della società – risulta dall’omissione, o dall’imperativo della censura che censura anche le tracce della censura:
in lontani tempi personali dicevo a qualcuno: va tutto bene ma mi sento male.
Con eccesso di concisione ripeto: l’imperativo disordinante e opprimente è il “superio” come un nome contingente dell’imperativo del godimento:
nessun moralista lo riconoscerebbe: è ciò che ne fa un moralista, mentre lui continua a credere di esserlo perché proibisce di godere:
è uno dei massimi meriti di J. Lacan l’avere riconosciuto nel “superio” l’imperativo “osceno e feroce” dei godimenti forzati, cioè pur sempre una legislazione (non tutte le legislazioni sono di buona famiglia).
Ho sempre rifiutato (con H. Kelsen) la concezione del Diritto come comando, o anche solo “regola” tra persone perbene:
una norma non è comando né regola.
Ho avuto interlocutori che si sono detti “d’accordo” con me, ma riducendo l’omissione a parzialità:
guardarsi, come dal cane, da chi si dice “d’accordo”:
chi asserisce qualcosa, o qualcuno, è partigiano ossia parziale: sono partigiano della mia compagna, e lo sono di Freud senza fare confusione:
sono partigiano di chi mi aiuta a non omettere, o censurare.
Il peccato di omissione, e l’omissione come peccato, è almeno configurato nel Confiteor, come quarto dopo pensiero, parola, azione:
io correggo collocandolo come primo e come mandante degli altri tre.
Una legislazione come quella freudiana non c’è mai stata:
il suo tempo “deve ancora venire” come aldilà nell’aldiqua.
Milano, 6 maggio 2007