Abbrevio dopo secoli di lungaggini patetiche, più che tragiche.
Mi sono già dichiarato contrario allo sdoppiamento della forma giuridica del coniugio (matrimonio / Pacs o Dico) in quanto implicante i sessi (ma sarebbe meglio se li esplicasse).
Ripeto però che per parlare di “famiglia” – parola italiana che include il gruppo “gl” della parola mo”gl”ie che mi ricorda il gorgoglio dell’annegato: preferisco “sposa” -, bisognerebbe ripartire dal day after della sua storia, che è stata una brutta storia, sulla quale non è più il caso di praticare alcuna pietà apologetica.
La storia della famiglia è patetica, una storia di com-patibilità, di patire insieme.
La storia della famiglia è la storia dell’amo di famiglia di cui ho scritto ancora recentemente, avente l’anello anulare come caso particolare di quello di Tolkien:
peccato!, perché mi piacciono gli anelli.
Se proprio abbiamo ancora qualche aspirazione anzi ambizione in proposito, possiamo solo ripartire dal day after della famiglia.
Tanto tempo fa noi cristiani abbiamo avuto un’idea che poteva essere una buona idea, supplementare, quella detta “sacramento”, ma non ne abbiamo fatto gran che:
solo una crema religiosa sulla torta civile, anche se poi diciamo il contrario per darci un tono.
In sé era, o poteva essere, un’idea laica di profitto in una partnership:
invece è stata messa a servizio della sopportazione, o della “valle di lacrime” tra uomo e donna cioè della povertà.
Non si tratta di provarci ancora (“Provaci ancora Sam”), cioè di ripetere coattivamente un pensiero rimosso, ma di provarci (non mi illudo, né pro né contro).
Oggi sposo (non “mi” sposo).
Milano, 5 maggio 2007