“LI AMMAZZO TUTTI !”, E L’ECONOMIA

Lo abbiamo visto succedere tre giorni  fa in una Università degli USA, con trentatre morti in pochi efficienti minuti di fuoco.

In guerra gli avrebbero dato la medaglia.

La frase del mio titolo (“Li ammazzo tutti!”) è la frase-pensiero-programma non dell’omicida anzitutto: essa preesiste in moltissimi, e l’abbiamo anche sentita pronunciare effettivamente più volte, e anche accolta con un sorrisino idiota come per uno scherzo (gli scherzi non scherzano).

Lo studente più o meno americano era solo uno tra i moltissimi che hanno questo pensiero, benché uno dei pochissimi che lo mettono in pratica al verificarsi di certe condizioni che gli danno l’OK:
noi siamo ignoranti di queste condizioni, e allora facciamo Talk-show sull’argomento.

In questo omicidio di massa il primo dato d’osservazione è l’astrattezza dell’azione o, come si dice, “niente di personale”.

Ho cercato una categoria e l’ho trovata nella parola “fatuità” (gli psichiatri del passato si sono serviti di questa parola, opportunamente benché con portata limitata):
specialmente in questo Blog porto alla luce la fatuità di frasi “buone” ossia maligne della lingua (come “ ‘La Mamma’ vuole bene al suo bambino”) da cui può venire dedotto tutto e il contrario di tutto.

Forse, fino a poco prima, quel ragazzo era noto come un normale “bravo ragazzo”; oppure, a cose fatte, qualcuno ha opportunamente ricordato le sue “tare” (antiquata parola biologistica) per dire che bisognava sospettare:
sarebbe meglio sapere che i più inaffidabili sono quelli che “non farebbero male a una mosca”.

Guardiamoci dall’invenzione di test predittivi di potenziali assassini in base alla ricerca statistica:
sarebbero solo la premessa a futuri Lager preventivi: sano non è chi non ha “tare” ma chi le riconosce, senza negarle né rinnegarle “scherzando” (è la perversione, che parla di “ironia”).

La formazione reattiva (ma non ho più voglia di spiegarla) è sempre pronta:
essa agisce sempre in modo appariscente, inapparente solo per l’idiozia dei nostri sorrisini che rifiutano di vedere ciò che appare (finiamola di distinguere essenza e apparenza).

Non bisogna cercare “sotto”: il sopra basta, e con micidiale abbondanza.

Assisto quotidianamente al sadismo esercitato per decenni da qualcuno su qualcun altro, bambini di preferenza ma non solo, in specie alla fabbricazione precoce di bambini autistici.

Sto ancora facendo del giornalismo, quello che i giornalisti non hanno fatto: un lungo réportage con tanti esempi non di massa, quotidiani, “umili”.

Non è diverso per i disastri economici: assistiamo a milioni anzi miliardi di casi di microeconomie recessive, o microdiseconomie:
non è una metafora, è la mia definizione di psicopatologia.

Sono diseconomie anche perché si credono “micro”:
è a livello dell’individuo che bisognerebbe tornare all’economia politica.

Il nostro è un mondo di guerra civile latente in cui alcuni passano a dichiararla patente (l’episodio americano) con atto individuale unilaterale.

Il frequente suicidio seguente l’omicidio conferma la fredda verità freudiana che il suicidio è solo un omicidio spostato su se stessi:
in questo caso i due atti sono fraternamente uniti: ah la fraternité!

Nulla è più pratico del pensiero, e della sua frase: è perché era possibile-pensabile che è diventato realtà:
se qualcosa è possibile-pensabile succederà, anzi succede già.

Di buono, in questa notizia, c’è che anche il pensiero non omicida, paci-fico, è possibile (anche se resto tra i pochi a pensarlo, con Freud):
si tratta della costruzione di un pensiero economico individuale.

Fin da bambino faccio letture sulla Prima guerra mondiale: tra le tante me ne resta in mente una che sottolineava la fatuità con cui è iniziata tale Guerra:
eserciti di milioni di soldati che partivano marciando con entusiasmo canterino per i più micidiali fronti mai conosciuti.

La Grande guerra condiziona ancora oggi il nostro presente.

La fatuità è quella caduta per cui si abbandona il pensiero per una Teoria.

Fatuità seriosa e seriale, non seria: antica, già greca, ne riparleremo.

Milano, 20 aprile 2007

 

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