LA GRATA MODERNA. O LA LIBERAZIONE ”DA” BAMBINO

Prendo dal mio intervento al recentissimo Convegno di Ancona: “Child: pensiero, figlio, civiltà” di questo sabato 27 gennaio, promosso dall’Associazione I.C.A.R.O. e dallo Studium Cartello.

In esso ho dato un suggerimento, almeno per non sbagliare tutto e subito con un bambino: il che facciamo tutti e subito già per il solo fatto di chiamarlo “bambino”, baby, bi-bi, enfantillage verbale plurimillenario che insieme a tutti gli altri compone il nostro infantilismo adulto (l’infantilismo è solo adulto, al bambino non viene neppure in… mente, tantomeno in cervello).

Una mia paziente ha recentemente rintracciato la duplice ragione del suo fastidio da “bambina” per il fatto di venire soprannominata “Bambi” da piccola: in questo soprannome, oltre all’offesa dell’infantilizazione, scompariva la desinenza differenziale, non tipologica o da gender, che in bambi-na o bambi-no è ancora presente.

Ho suggerito la fantasia di trovarsi nel 1760 in una sala con al clavicembalo il Mozart dei suoi primi saggi di composizione, intorno ai quattro anni di età, e di supplementarla con quella di una grata monastica interposta tra esecutore e pubblico.

La grata fisica significa, o almeno dovrebbe significare, il primato della percezione uditiva su quella visiva, con subordinazione senza abolizione di questa.

Nei monasteri di clausura del passato – con poche eccezioni, come quella dei Certosini -, la grata riguardava le monache, e qui c’era un equivoco, che oggi permane secolarizzato anche nella pornografia: infatti non è la visione a fare la donna, commercio a parte.

Chi l’avrebbe detto che proprio Freud ha reintrodotto la grata? (ecco la fonte del mio suggerimento): infatti l’asimmetria tra divano e poltrona è una grata funzionale, non materiale, senza discriminazione tra uomini e donne, ossia il pensiero che la differenza sessuale è anzitutto uditiva, intellettuale, prima che visiva.

Meglio ancora: che non precede il predicato “da” uomo e “da” donna, bensì precede la differenza: i sessi sono non nel predicato sessuale (“da”) ma nella differenza (se non capite non preoccupatevi: va così da millenni).

Mozart non era un bambino prodigio: grazie alla mia fantasiosa grata vi risparmio la stupidità storica e collettiva del qualificarlo tale (bambino = “da” bambino è un predicato criminale che ci fa tutti pedofili).

Grazie a essa il primo dato di cui prendere nota è che lì c’è un  musicista, o un musicante (parola che prediligo grazie ai fratelli Grimm), non un “bambino”.

Chiamiamolo pure bambino prodigio (o magari “genio”, e non ripeto la mia critica al riguardo): ma allora lo sono tutti (l’altro ieri alla TV ho provato pietà per un bambino che a quattro anni di età recitava a memoria l’Inferno di Dante: un caso completamente diverso dal Julien Sorel di Stendhal).

“Prodigio” lo sono tutti perché (ormai mi ripeto) a quattro anni di età ogni bambino (con eccezioni sì ma psicopatologiche) è così poco “baby” da avere già:

1° non solo acquisito la lingua, che è qualcosa di più complesso della musica, accettando senza obiezioni gli apporti esterni a lui, ma con un grado di autodidattismo che poi non incontreremo mai più;

2°  ma perfino da essersi fabbricato lui il clavicembalo corporale: nel suo chiamare a raccolta (vera sin-fonia materiale anzi biologica) un alto numero di organi e apparati (laringe con corde vocali, faringe, lingua, guance, labbra, naso, apparato respiratorio diaframma incluso, muscolatura varia eccetera, sistema nervoso), egli ha fatto tutto da solo (anche il “bel canto” gli è inferiore, anzi lo prende a modello pur ignorandolo).

Ho scritto “egli”, ecco l’io: non c’è altro io.

Il bambino ha fatto tutto questo giocando d’anticipo su Cartesio (senza neppure conoscerne l’esistenza: era Cartesio a ignorare l’esistenza del bambino), sulla linguistica e la filosofia del linguaggio; come pure su tutta la filosofia anteriore (e successiva).

Poi lo “freghiamo”, ossia lo ammaliamo da quei malati che già siamo prima di lui.

In fondo Freud, e noi con lui, siamo gli autori del libro della Genesi in seconda edizione, più un giudizio sulla Storia come seguito del danno, insieme al pensiero che si può finire-concludere bene perché “bambino” significa avere cominciato bene.

Milano, 29 gennaio 2007

 

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