Provo uno speciale piacere nel dare compendî telegrafici di conclusioni raggiunte in anni (attestate): eccone uno.
Di peccato originale, nonché di vizi, ci intendiamo o dovremmo intenderci più noi freudiani che chiunque altro.
Nel passaggio (libro della Genesi) dalla tentazione (che preciserò subito) al peccato (idem), compare l’intera gamma psicopatologica, in Adamo per primo:
I. La terna freudiana di “Inibizione, sintomo e angoscia”:
1. Inibizione (facilmente individuabile nel testo),
2. Sintomo (idem),
3. Angoscia (idem).
II. Idea delirante (nudità).
III. Fissazione:
lo è alla Teoria che fa da tentazione, quella che fa abbandonare il giudizio (buono/cattivo) ossia il principio di piacere, per una coppia di astratti (bene/male, +/-, 0/1): ecco l’“albero del bene e del male”, il passaggio all’ab-solutezza dal pensiero, la prima e vera dissolutezza, perversa.
Il passaggio dal principio di piacere o facoltà di giudizio (pensiero de natura) al principio di realtà come suo perfezionamento (ancora pensiero di natura), non è né un passaggio al farsi più “furbi” nella dura realtà, né un complemento di realismo di cui il bambino ancora mancherebbe (falso: non ne manca affatto in ogni senso), bensì è il passaggio al giudizio giudiziario (Tribunale Freud) sulla Teoria che ne ha traumatizzato il pensiero, di cui il mito delle origini dà esempio se non il modello stesso.
Quanto al peccato, ne resta traccia in Orwell, “1984”: esso è la catastrofe conseguente del rapporto uomo-donna:
Eva trova “buona” la mela colta dall’albero e dunque non ha peccato, anzi è così gentile da darne a Adamo: il peccato lo commette Adamo accusando Eva (“è stata lei!”, “è colpa sua!”), è il peccato del divorzio originale (chi è il “sesso debole”?)
In “1984” il protagonista, minacciato della tortura dei topi, grida “Fatelo a lei!”: Adamo è un dis-sociato.
Milano, 18 dicembre 2006