Con questa frase di H. Kelsen, condensata fino a slogan, sono pronto a ripetermi all’infinito senza tema di tediare o tediarmi:
“L’uomo non è imputabile perché è libero:
è libero perché è imputabile”.
Essa cambia tutto, a tutti i livelli.
Se disponessi di mezzi, ne farei volantinaggio, pubblicità, finanziamento di libri ad essa dedicati, fonderei una Università, e ogni altra trovata compreso un partito per la mobilitazione della politica e della pubblica opinione.
Su di essa fondo quella Psicologia di competenza individuale che chiamo “Pensiero di natura”, inclusivo della psicoanalisi: ripeto che la Psicologia è ed è sempre stata un fattore determinante della politica, non una disciplina abbigliata di scienza.
Su tale frase si fonda un mio libretto intitolato “Libertà di Psicologia” (Sic Edizioni), che adduce questa libertà come il preambolo di una Costituzione futura.
Questa frase dice la verità, alla lettera: dice che la verità è una e una sola, quella di un’imputazione (anche e anzitutto premiale: è falso che l’imputazione sia esclusivamente o anzitutto penale).
Sulla verità siamo stati deviati e guastati dai Greci.
Sottolineo il nesso verità-libertà, impensabile per i suddetti.
La Psicologia novecentesca non si intende (sono moderato) di verità né di libertà.
É falso fino al ridicolo che la libertà discenda dall’ontologia, ossia che la libertà sia un predicato dell’ente “uomo”.
Così come non è meno falso che l’amore sia un predicato dell’ente “Dio”: è un delirio monoteistico così grave che meglio sarebbe rappresentare Dio in catene, le catene di un superiore istinto ontologico detto “amore”.
Non si era mai bestemmiato tanto, l’eresia delle eresie: qui mi faccio Inquisitore (senza mandato, senza potere, senza nessuna inclinazione all’uso di mezzi coercitivi, senza nessuna voglia di tutto questo).
Milano, 12 dicembre 2006