Apologia della lettura.
Dico bene: la lettura distinta dallo studio, ossia quella fatta per attrattiva – ec-citamento o vocazione -, non per performance scolastica o professionale.
Questa facile e ovvia distinzione non solo non risulta ovvia né facile, ma è anche stata duramente combattuta nei secoli.
L’esperienza della lettura è simile a quella del bambino che mangia senza venire perseguitato dall’imperativo “mangia ché ti fa bene”, cioè dalla forzatura in lui di una causa del mangiare di cui non ha alcun bisogno.
Il bambino così libero esercita il giudizio (almeno di gusto) senza limitazioni, si fa opinioni e distinzioni anche fini quanto al cibo.
Egli si fa fare da ciò che assume da fuori di sé, in modo colto e libero, senza “concupiscenza” alimentare: la concupiscenza, alimentare o sessuale, non è in natura ma è un vizio patologico ossia sopravvenuto, e imposto.
Invece il caso della concupiscenza intellettuale non esiste, però è la più combattuta, più delle orge: vedi le calunnie secolari chiamate “curiosità” o “intellettualismo” (nei nostri anni è più combattuta che mai, basta accendere la televisione).
Lo stesso del mangiare infantile accade nella lettura: mentre uno legge il romanzo si fa tutti i giudizi, anche sul romanziere, senza bisogno di sdoppiarsi in un secondo momento studioso e tardivamente critico.
La critica tardiva inizia dal conteggio dei morti sul terreno, che le servono per farsi una buona coscienza: il Novecento è stato il secolo della buona coscienza tombale, con lacrime associate.
Penso che la censura della lettura e la sostituzione a essa dello studio sia patogena, tanto quanto lo è l’alimentazione forzosa del bambino, intendo quella che impone al bambino, con assoluto e freddo rigore, solo criteri dietetico-pediatrici: l’autismo è assicurato.
Il pensiero di natura, o la prima formazione del principio di piacere come principio di cultura personale, è maturamente presente in queste due esperienze.
Ma dapprima il pensiero non si sa difendere se attaccato: quando si saprà difendere si chiamerà principio di realtà.
Nella lettura il soggetto si fa fare da un altro, da ciò che assume intellettualmente da fuori di sé operato da un altro.
É il primo lavoro, senza fatica, non pura passività, messa in atto secondo quello che chiamo modus recipientis: il soggetto si fa penetrare senza omosessualità.
C’ est l’amour (per una volta).
Si tratta di quell’accezione freudiana di “femminilità” anche nell’uomo (in rapporto al padre) che ho già segnalato due volte (19 novembre e 29 ottobre), quella che rende capace di imprese.
Qui non faccio sistematica, rammento solo la mia distinzione tra: 1° io, 2° coscienza, 3° Chi!, ossia la terna sana rispetto alla terna patologica: 1° io, 2° superio, 3° es.
Nella lettura, Chi! legge, mentre io e coscienza fanno rispettivamente da avvocato e notaio, ambedue per un momento soltanto, senza disturbare la lettura.
Il rapporto con la lettura serve anche da test psicodiagnostico e differenziale tra tutte le patologie: per esempio il paranoico non legge, potrebbe però studiare moltissimo (è il tema modernamente tradizionale dello “scienziato pazzo”, Frankestein o Stranamore).
Milano, 20 novembre 2006