Avevo quattordici anni, una sera sul portone di casa mia con due coetanei.
Uno di questi, il bravissimo Lorenzo, balbuziente di lusso, raccontava barzellette pregevoli a fiotti.
E anche battute, o motti.
Uno di questi:
“Con la scusa di scoparla, la baciò!”
C’è qui inversione del senso – del senso comune -, di cui la parola dell’uso triviale è al servizio.
Questa battuta mi ha intrigato per anni.
Noi eravamo sinceramente divertiti, ossia capivamo, eppure non capivamo.
Il motto di spirito dà una dritta sull’intelligenza: l’atto di questa, se è, avviene in due tempi.
É lo spirito dei poveri di spirito: poveri non poveri.
Le decine di barzellette lutulente sui sessi erano così sbaragliate, e con esse criticate la idee correnti sui sessi (il solito “istinto”).
Quella sera siamo diventati un po’ più virtuosi, e un po’ meno creduloni nella concupiscenza naturale.
Naturalmente non spiego nulla: mi ci è voluta una vita per arrivare alla sequenza logica dei tre baci, a partire dal primo di cui ho appena riparlato.
Tutti sanno che le storielle non si spiegano, ma conviene farne una regola generale, perché nulla è interessante se non ha una simile struttura: non bisogna spiegare, né d’altronde comprendere (prendere sì, non è rubare).
Si tratta di venire a capo (della suddetta sequenza per l’occasione).
Si è tanto chiacchierato di Aldilà, Paradiso, Regno dei Cieli, ma la domanda è se ci si viene a capo, senza di che ogni delizia promessa si riduce a una mistica sbobba divina.
L’ateismo ha sbagliato strada: era la stessa dei (mal)credenti.
Milano, 9 novembre 2006