I “FIDANZATINI” E IL FUROR DESTRUENDI

Più volte ho potuto cogliere perfino giorno e ora dell’insorgenza della patologia avvenuta grazie a un disastroso colpo magistralmente assestato.

Tanto meglio assestato in quanto l’oggetto contundente è un apparente nonnulla verbale, ancora più irrisorio dell’esempio del “saltare la cavallina” (14 ottobre), tanto che all’atto verbale può venire negata ogni imputabilità, ossia di essere stato un atto.

La tecnica – dico bene “tecnica” – è quella della perversione: rinnegare il detto per mezzo della sua banalizzazione. Il “trauma” è un atto perverso.

Ci sono persone molto versate in questo genere di malignità, e in continuo addestramento. Ricordano l’abilità di certi uomini politici dotati in imboscate.

Questa giovane donna, oltretutto assai graziosa, riferiva di non potere non dico avere ma neppure pensare un rapporto con un uomo. Pur non mancando di pretendenti, e pur recandosi ai relativi appuntamenti, la sua presenza a questi era di perfetta indifferenza fatta salva una cortesia astratta e una partecipazione inerte alla conversazione.

Nell’analisi è emerso presto il preciso ricordo del momento in cui tutto ha virato in tale senso, come in una deflagrazione muta.

A otto anni si accompagnava, frequentemente e a lungo, con un coetaneo di scuola, spesso mano nella mano. Nell’ambito di questo rapporto erano sicuramente compresi i sessi anzitutto nella condivisa stima di essi. Non c’era accompagnamento di atti, in questo caso, ma ciò non importa: i cosiddetti “ ‘giochi’ sessuali infantili” comportano una tale stima, come già il complesso edipico (3 e 4 ottobre).

Un giorno uno zio, onnipresente in famiglia come lo scapolo istituzionale di casa, vedendoli li ha irrisi apostrofandoli come “fidanzatini”.

L’istante appena successivo la bambina ha abbandonato la mano del bambino, non lo ha più incontrato, e da quel momento è diventata come ho descritto.

Detto alla lacaniana: ecco un esempio di “significante” mortifero. Il furor destruendi di questo parente aveva attaccato il pensiero del rapporto in quanto precocemente maturo (la menzogna era tale perché non ci sono “-ini”), come facoltà di costituire il rapporto. L’odio attacca il pensiero perché è una tale facoltà.

Come ho scritto nell’articolo precedente, nella banalità verbale trova alta condensazione una Teoria-menzogna versus pensiero. Solo una tale Teoria scandalizza, traumatizza. Sovviene l’evangelica “macina da mulino” per chi scandalizza i “piccoli”: piccoli sì eccetto che nella maturità precoce del pensiero del rapporto. Ma l’ingenuità è senza difesa: il senza-difesa ne è la definizione.

Tra altre risultanze dell’analisi, è emerso in questo come in altri casi che la donna ferita ammetteva di poter concepire più facilmente la prostituzione che il rapporto. Ecco dove pesca la prostituzione, di cui quella corrente è solo parte minore. E’ ciò che di Freud fa Freud: per capire la prostituzione non partiva da quella corrente (era un logico).

Non che in quella bambina delle linee di frattura inapparenti non fossero già presenti: ma l’agente traumatico del pensiero non è stato come la goccia che fa traboccare il vaso, bensì l’analogo di una fissione nucleare che prosegue a catena propagandosi ad ogni rapporto possibile.

16 ottobre 2006

 

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