TRIBUNALE FREUD
L’antica filosofia predicava che l’essere (quello di una persona, non solo oggetto naturale) è.
Coloro che non hanno studiato filosofia ascoltano con distratto rispetto, pensano che sono discorsi da filosofi di cui pochi si intendono, e si regolano secondo il vecchio detto che la pratica vale più della grammatica.
Non si accorgono che invece è una faccenda molto pratica, e anche grave per loro e per tutti.
Prendiamola dal lato psicoanalitico più noto, quello per cui nessuno può dire che sono discorsi da psicoanalisti di cui non si intende: tutti sanno infatti che vi si tratta di poltrona e divano ossia di posti, sedili, dove l’essere si pone.
Dopo di che, fatto il posto, non c’è più legittimità né scusante per la prepotenza dell’usurpatore che si arroga di predicare lui che sono e che cosa sono. L’essere che si pone da sé giudica e sanziona l’invasore che pretende di rubargli il posto esiliandolo da esso. L’essere si dice da lì, da un posto. Lo dice se ne ha voglia: a volte è meglio il silenzio, che è anch’esso un posto, altrimenti è mutismo identico allo schiamazzo.
Quando non si dice da lì abbiamo il dominio del presupposto, del pre-sub-posto, del sotto-posto fin dalla premessa cioè lo schiavo radicale, e fin dal primo vagito.
Il divano di Freud è il primo e nuovo atto filosofico da duemilacinquecento anni.
É il posto, il sedile fisico e formale, a costituire un pensiero (chiamiamolo pure “filosofia”) perfettamente realista. Non è realista quella filosofia dell’essere che mi de-realizza dal posto.
Risulta l’unica definizione di “essere” che sia corretta e anche rispettosa ossia morale: l’essere è quello che prende posto.
Si provi a mettere l’enunciato “l’essere è” in bocca a un Führer: si otterrà un regime totalitario più infame di quello del passato Führer. L’antica filosofia dell’essere non nasceva speculativa bensì politica.
Non si deve discettare neanche dell’essere di Dio, semplicemente per non offenderlo. Un tale essere se è – questione che riguarda solo lui – pensa lui, come ogni altro essere, ad autorizzarsi a prendere posto. Tutt’al più potremmo discettare – liberi anche di non farlo – sul sedile di Dio, biblicamente detto “trono”.
“Sedile” non significa immobilità o meglio fissità: al contrario designa il primo – primus inter pares – movimento, quello del dire, che è anche il primo fare (in associazione col pensare): è falso che “dal dire al fare c’è di mezzo il mare”.
“Persona” (concetto giuridico) è quella “cosa” che ha facoltà di prendere posto, tanto quanto di offrirlo.
La frase che inizia con “Tu sei” abolisce la persona in quanto prende posto, ossia è un delitto. Potrebbe tornare nell’innocenza solo nel caso della frase: “Tu sei… quello che prende posto”.
La frase di un padre non è “Tu sei mio figlio” bensì “Ti costituisco mio erede” (o “in te mi sono con-piaciuto”, come dice un antico-nuovo testo, come Father & Son, società di co-reggenti).
Lo stesso per una madre che, se è “La Mamma” e non anche lei una che costituisce un erede, è solo una Bloody Mama (titolo di un film di gangster-story americana: storia di una banda di madre e figli – la madre è il Führer – che finiscono tutti in un bagno di sangue).
Il linguaggio popolare è a volte eccellente: “darsi una mossa” significa prendere posto (contro l’usurpazione del posto), o offrirlo: facoltà giuridica, o l’arte dell’essere.
Da millenni ci si interroga sul “giusto”: il giusto è un fabbricante di posti, e un occupante di posti fabbricati da altri.
Anticipo dell’Introduzione al Corso 2006-2007 dello Studium Cartello: “Il Tribunale Freud”.
25 settembre 2006